La felicità: pensarla e raggiungerla. Due percorsi distinti?

Le principali filosofie “new age” sostengono che la felicità parta in primis da noi, dal nostro pensiero. In un certo senso anche la psicologia (almeno, alcuni orientamenti) sostiene che è il pensiero a muovere la nostra azione. Quindi è vero: basta pensare alla felicità ed essa si realizzerà, in una sorta di unico indistinto percorso. Ma è realmente così semplice: pensare la felicità rende felici? Con tutta probabilità no.

Anzitutto è importante definire cosa si intende con il termine “felicità”, un concetto ampiamente abusato e per certi versi bistrattato. Con tutta probabilità la felicità nella sua accezione “romantica” è –appunto- solo frutto dell’abile penna di scrittori succedutisi nel corso dei secoli; molto più probabile è il fatto che esistano degli attimi felici che si alternano a momenti meno positivi o addirittura tristi. La capacità del singolo di focalizzarsi e valorizzare gli istanti piacevoli porterebbe poi a ritenere “collegati” due o più attimi “felici” in realtà intervallati da altro, dando l’illusione di una continuità temporale. Analogamente, chi invece tende ad evidenziare e notare principalmente i momenti di “infelicità”, sarà più portato a sottostimare o ignorare gli attimi felici, ritenendo di vivere una continua e prolungata infelicità.

Certamente questi possono apparire come dettagli, ma già da ciò si comprende come la felicità risulti non solo complessa dal punto di vista di una definizione, ma anche quanto essa dipenda dal soggetto che la esperisce, dalla sua personalità o dal suo carattere, dalle sue esperienze di vita.

In sintesi si potrebbe quindi concludere che la felicità, di per sé, sia un concetto meramente astratto e riassuntivo, potrebbe essere definibile come un compendio degli attimi felici vissuti da una persona. Lo stesso discorso vale –ovviamente- per l’esatto contrario della felicità.

La questione quindi “La felicità: pensarla e raggiungerla. Due percorsi distinti?”, titolo di questo articolo, andrebbe modificata, ponendo l’accento sul concetto di “attimo felice”; quindi potrebbe essere qualcosa del tipo “L’attimo di felicità: pensarlo e raggiungerlo. Due percorsi distinti?”.  Ciò significa che pensare ad un momento felice possa –di per sé- portare al raggiungimento di tale attimo, quasi fosse un desiderio che si realizza. Anche qui si potrebbe aprire una lunga parentesi su cosa si intenda per “pensare”, ossia quanta “intensità” tale pensiero dovrebbe avere, affinché possa essere in grado di portare ad una sua concretizzazione.  Fatto sta che l’idea che un semplice pensiero possa essere in grado di provocare uno stato d’animo (come la felicità) appare –almeno dal punto di vista linguistico- alquanto improbabile, per non dire impossibile o assurdo.

Dunque ad ognuno di noi non resta che stilare il proprio personalissimo compendio, in una sorta di computo di attimi di felicità e di infelicità dove la parte che totalizza il punteggio maggiore, ottiene la vittoria.

Mano alla calcolatrice!