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“Per dieci minuti” di Chiara Gamberale

A cura della dott.ssa Ratti

Aprirsi al cambiamento. “Per dieci minuti” di Chiara Gamberale

Il romanzo che invita a dar spazio alla creatività, anche nei momenti di crisi.

Aprirsi al cambiamento. Anche solo per dieci minuti. Il romanzo di Chiara Gamberale ci invita tutti a metterci in gioco. E ci interroga, su quanto siamo disposti ad uscire dai soliti schemi, ad affrontare la paura, la vergogna, la mancanza di certezze e rassicurazioni che certi equilibri comportano.

Chiara Gamberale tocca, con la delicatezza e l’ironia che la contraddistinguono, tematiche che hanno a che fare con la psicologia in molti dei suoi romanzi .Da “Una vita sottile “ a “L’amore quando c’era”, dal tema dei disturbi alimentari a quello delle relazioni di coppia, ci mostra, senza temere di svelare anche parti di sé attraverso la scrittura, fragilità e dinamiche in maniera così vivida e autentica da farci immergere nelle storie dei personaggi, facendo quasi dimenticare si tratti di una narrazione.

  

Descrizione

(a cura della dott.ssa Ratti)

“Per dieci minuti” ha avuto indubbiamente una grande diffusione, facendo conoscere l’autrice al grande pubblico, e anche grazie ai social è diventato una sorta di “romanzo interattivo”, che ciascuno ha potuto continuare, fare proprio e condividere.

 Già in “Una vita sottile”   Gamberale aveva utilizzato aperture autobiografiche e questo aspetto è ancora più pronunciato in “Per dieci minuti”, dove in vari momenti e nei riferimenti alla protagonista, che porta lo stesso nome dell’autrice, Chiara, ci sembra quasi di assistere a uno svelamento di parti di sé , della propria storia e del proprio Io. Ci invita a leggere quello che a tutti gli effetti ci appare come il diario di un percorso. Che la storia sia reale o no poco importa, ma così appare, e il filo conduttore del racconto è legato a questa sensazione che lega il lettore all’autrice del romanzo, nello svelarsi nella sua complessità, delle proprie zone di luce e ombra.

In fondo se ci pensiamo questa possibilità di dar voce al proprio vero sé, alla propria autenticità ed interezza, nelle sue contraddizioni e nella ricchezza delle diverse sfumature, è proprio l’obiettivo cui si aspira durante un percorso di psicoterapia e che si costruisce nelle sedute.

E proprio da una “sfida “nata nel corso di una seduta nasce il pretesto di questo romanzo.

Chiara, la protagonista, è immersa nel dolore insopportabile che si prova quando sembra che la propria vita stia andando a pezzi. Di colpo, può accadere che tutto ciò che si avvertiva come familiare e consolidato, d’improvviso cambi. Il marito, con cui trascorreva una vita segnata dalla routine ma anche da un forte legame affettivo, inaspettatamente la lascia. Parte per un master a Dublino, ma sembra proprio accorgersi di stare meglio senza di lei. Cosi decide di mettersi “in aspettativa”, nella vita e in amore, e si trasferisce in Irlanda. Destino vuole che anche il lavoro, che tanto ama e su cui ha così investito negli anni, proprio nello stesso periodo le riservi un altro abbandono. Il direttore del suo settimanale , decide di sostituirla e affida la conduzione della sua rubrica a una ragazza che gode di maggior popolarità, senza apparentemente alcun altro merito. Chiara è smarrita, e inizialmente si crogiola nel desiderio di rinchiudersi in se stessa, nella triste rassegnazione che sia nel lavoro che nella vita ormai non vi possa essere nulla che la possa ugualmente coinvolgere, giacchè sente di avere già scritto i suoi romanzi e i suoi lavori migliori, e di avere già vissuto la sua più grande storia d’amore. I pensieri rimuginativi prendono lo spazio del pensare, inteso come funzione creativa e di trasformazione.

Fino a quando, nel suo studio nel centro di Roma la sua terapeuta, La dott.ssa T. non le propone un gioco.

Per un mese , per ogni giorno, deve concedersi 10 minuti in cui fare una cosa mai fatta prima d’ora.

“Nel mezzo del cammin della sua vita”, a 35 anni, Chiara dovrà pensare ogni giorno a qualcosa di nuovo e originale e “farlo”, mettersi in gioco, sperimentare. Quello che segue nel corso del romanzo è una sorta di diario di quel mese, in cui accompagniamo Chiara nelle piccole e grandi idee imprese, dal lasciarsi convincere dall’estetista di fiducia a osare lo smalto fucsia, allo sperimentarsi in cucina, preparando pancake alla nutella, dall’ascoltare i problemi di sua madre al lanciare in cielo lanterne cinesi osservandole con meraviglia, oppure ancora stare alla cassa di una libreria del centro e constatare quanto siano diversi i lettori e i loro acquisti.

Della Dott.ssa T. Chiara non dice molto, sono solo molto brevi gli stralci di seduta e non viene fatto alcune riferimento al suo indirizzo teorico, se non una passione per Rudolf Steiner, cui è dedicata la citazione all’inizio del libro: “In ogni essere umano esistono facoltà latenti attraverso le quali egli può giungere alla conoscenza del mondo”.

Il fatto che la Dott.ssa T. abbia connotati generici è particolarmente significativo. Forse nel gioco dei 10 minuti Gamberale coglie uno degli aspetti che la psicoterapia dovrebbe avere come obiettivo, indipendentemente dall’orientamento: la capacità di divenire il luogo in cui il paziente inizia a sperimentarsi e a provare modalità di pensiero e relazionali nuove.

Ecco infatti che i 45 minuiti della seduta possono assomigliare ai 10 del gioco.

Nella relazione con il terapeuta, il paziente in psicoterapia, non lavora solo sui contenuti e sugli eventi per lui dolorosi, ma tocca l’indeterminato che nasce dall’incontro con l’altro da sé, da voce a parti di sé taciute, a sfumature e lati della sua personalità messi in secondo piano, nascosti dietro quelli più abituali, talvolta al punto tale da divenire stereotipati.

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Nella psicoterapia , sia individuale che di gruppo, il lavoro sul profondo non esclude la sperimentazione di una dimensione ludica, che è anzì altresì necessaria di quella strettamente introspettiva, poiché coniuga aspetti cognitivi con quelli affettivi e istintivi. Come sostiene anche uno dei più grandi psicoanalisti, Donald Winnicott, “è nel giocare e solo mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto,è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé.”

Anche il pretesto che da inizio al romanzo, descrive bene la situazione che spesso spinge a decidere di inizare una psicoterapia. La fine di una relazione amorosa, soprattutto quando si accompagna a una situazione di incertezza lavorativa, obbliga quasi necessariamente ad una messa in discussione, a porsi degli interrogativi che riguardano anche se stessi. In una società complessa e eterogena come la nostra, la dimensione di coppia rappresenta talvolta un rifugio, fonte di rassicurazione e riparo,che quando viene meno implica non solo il normale processo di elaborazione di quello che è’ a tutti gli effetti un lutto ma anche l’abbandono di dinamiche di dipendenza che fungono da contenimento rispetto alle paure e all’incertezza.

Il romanzo mostra l’importanza del percorso, che diventa cosi ricco e vivo da non farci neanche fantasticare su un “lieto fine”, o su un riscatto/risarcimento della protagonista, poiché diviene esso stesso l’oggetto del nostro investimento e interesse. E così man mano diventiamo curiosi di vedere cosa ci aspetterà nei dieci minuti del giorno successivo, eppure senza quasi accorgercene la cosa che sentiamo in maniera più vivida è la trasformazione della protagonista, che abbandona lentamente il rifugio del dolore, e riscopre tutto ciò che nella sua vita c’è di più autentico e vero, i veri rapporti , che aldilà delle etichette rimangono solidi, “familiari”, anche laddove non vi è un legame di sangue.

Ecco perché questo romanzo è accattivante, coinvolge, spinge a chiedersi se forse non valga la pena di fidarsi e provare a propria volta la sfida che implicitamente propone la Gamberale. Per dieci minuti.

L’autrice ci mostra come crisi non necessariamente significhi distruzione o fallimento. Dalla crisi anzi nasce la creatività. “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose” sosteneva infatti già Albert Einstein, “La creatività nasce dall’angoscia , come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere “superato””.

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