La Sindrome di Stoccolma: è possibile amare il proprio carnefice?

Spesso se ne sente parlare, soprattutto in seguito ad eventi delittuosi specifici, come rapimenti, violenze (sessuali e non), talvolta perpetrati per lunghi periodi. Ma cosa esattamente è la Sindrome di Stoccolma.

Il termine “Sindrome di Stoccolma” è stato utilizzato per la prima volta da Conrad Hassel, agente speciale dell’FBI, in seguito ad un famoso episodio accaduto in Svezia tra il 25 ed il 28 agosto del 1973: due rapinatori tennero in ostaggio per 131 ore quattro impiegati (tre donne ed un uomo) nella “camera di sicurezza” della Sveriges Kreditbank di Stoccolma. Nonostante la loro vita fosse continuamente messa in pericolo, durante il periodo di prigionia, che fu seguito con particolare attenzione dai mezzi di comunicazione, risultò che le vittime temevano più la polizia di quanto non temessero i rapitori, che una delle vittime sviluppò un forte legame sentimentale con uno dei rapitori (che durò anche dopo l’episodio) e che, dopo il rilascio, venne chiesta dai sequestrati la clemenza per i sequestratori e durante il processo alcuni degli ostaggi testimoniarono in loro favore.

La peculiarità di questa sindrome consiste, quindi, nel fatto che la condizione mentale che viene a crearsi può portare all’ammirazione (fino a un vero e proprio innamoramento) nei confronti di rapitori, carnefici o aguzzini. Essa può anche nascere da situazioni di violenza sulle donne, abusi su minori e sopravvissuti a campi di sterminio.

Situazioni affettive simili hanno trovato riscontro in numerosi altri episodi di rapimento, suscitando il medesimo clamore; ne sono esempi i casi di Natasha Kampush, di Elizabeth Smart e di Giovanna Amati.

Ma perché ciò accade?

Sono state date diverse spiegazioni per capire la paradossale condizione rappresentata dalla sindrome di Stoccolma e quella maggiormente accreditata spiega che esisterebbero dei meccanismi mentali guidati dall’istinto di sopravvivenza della vittima. L’insorgenza di tale sindrome può dipendere anche dal tempo che i soggetti coinvolti hanno passato insieme: più è lungo, più è facile che nascano sentimenti di affetto, amore o di semplice solidarietà. Ciò accade perché la vittima inizia a sentire la propria vita direttamente dipendente da un altro (il carnefice appunto, visto come la persona più forte che può garantisce quindi protezione) e sviluppa un meccanismo psicologico di totale attaccamento verso di lui, credendo così di evitare la morte.

Inizialmente, la persona rapita vive uno stato di forte confusione e terrore per la situazione impostale. Superato questa sorta di  trauma iniziale, cerca un modo per resistere alla situazione che sta subendo, sviluppando un meccanismo psicologico in cui il soggetto si affida totalmente al proprio carnefice.

Inoltre, la vittima si identifica con il carnefice al punto di arrivare a comprendere (e a volte condividere) le motivazioni per cui l’aguzzino agisce in un determinato modo, finendo a tollerare, senza neanche troppa fatica, le sue violenze, annullando anche il rancore che dovrebbe provare (o che quantomeno sarebbe lecito provare) nei confronti dell’aguzzino.

Pertanto, riassumendo, si può dire che tale sindrome si caratterizza per la presenza di:

  • sentimenti positivi delle vittime verso i loro aguzzini;
  • sentimenti negativi nei confronti di chi sostiene che l’aguzzino sia tale.

In conclusione, la Sindrome di Stoccolma è frutto dell’istinto di sopravvivenza delle persone, non ordinaria follia, come molti potrebbero credere e credono; ed essa viene trattata e raccontata anche in molti libri (Cime tempestose, La Gerusalemme liberata, ecc), film e cartoni (Sesso e fuga con l’ostaggio, Un mondo perfetto, La bella e la bestia, ecc).

<<Io ti perdono per quello che hai fatto a me. Io amo il mio carnefice…>> (tratto da Cime Tempestose)

Articolo a cura di Elena Parise

Nella foto: Natascha Kampusch (Vienna17 febbraio 1988), una ragazza austriaca che fu vittima di un rapimento all’età di 10 anni, il 2 marzo del 1998. Dopo otto anni di segregazione riuscì a liberarsi fuggendo dal proprio rapitore, Wolfgang Přiklopil, il 23 agosto del 2006. (fonte: Wikipedia)