Hikikomori e Covid-19: differenze a parallelismi

Un fenomeno sociale, originatosi in Giappone, ma sempre più diffuso in Europa e in generale in quella che è la cultura occidentale, è quello degli hikikomori. 

Hikikomori: Di cosa si tratta?

Consiste in una esclusione volontaria rispetto all’intero apparato sociale, tendenzialmente attuata da adolescenti / giovani adulti, i quali si isolano all’interno della propria casa o addirittura nella propria camera da letto, riducendo al minimo e/o eliminando totalmente qualsiasi tipo di contatto umano. La principale causa consiste in una difficoltà nello stare in società, dovuta sia alla difficoltà nel soddisfare compiti e aspettative alle quali famiglia e società stessa sottopongono la persona, sia ad una visione estremamente negativa della comunità di appartenenza.

Perché si possa parlare di questo fenomeno, l’isolamento e la letargia che lo correda devono perdurare per un tempo non inferiore ai sei mesi, e può essere suddiviso entro due distinte tipologie: l’hikikomori primario, il quale non presenta alcuna patologia pregressa; l’ hikikomori secondario, il cui isolamento è da inquadrare come conseguenza di una patologia precedente caratterizzata da tratti depressivi e/o ossessivi, che impediscono alla persona di prendere parte a quelle attività che nella società capitalistica moderna possono essere considerate come propedeutiche, ad esempio andare a scuola e successivamente trovare e mantenere un lavoro.

Solitudine e isolamento sociale prolungati presentano effetti importanti, comportano infatti la perdita di competenze sociali e comportamentali di gruppo, in sintesi, la persona perde via via la capacità di interazione e relazione con l’altro.

In diversi casi i rapporti sociali non sono comunque totalmente eliminati, bensì viene stravolta quella che è la loro natura: vale a dire che i rapporti sociali diretti vengono sostituiti da rapporti mediati da internet, quindi social network, chat online, videogames in streaming ecc.

Perché parlare di hikikomori in questo momento?

Perché nonostante l’agente scatenante sia molto diverso, la situazione nella quale ci troviamo immersi comporta una condizione che non è così tanto distante. L’emergenza conseguente alla diffusione del virus Covid-19 e le misure utili a contenerlo contemplano un isolamento forzato per un periodo prolungato. La vita cambia ritmo, le abitudini e le attività sono stravolte e tutto questo richiede la ricerca di significati diversi.

Il rischio è da collocarsi sia nel momento presente, data la situazione di rischio e il forte stress annesso, alla quale ognuno di noi, in misura diversa in ragione delle specifiche risorse personali, può far fronte, sia nel futuro.

La domanda che sorge a questo punto è la seguente: Come sarà il ritorno alla vita “di tutti i giorni”?

Situazioni stressanti e traumatizzanti come la presente “segnano”, lasciano strascichi che, se non trattati, possono avere un impatto pervasivo e destabilizzante sulla persona. Una possibilità concreta è che rimanga un senso di incertezza, di paura, che sia possibile per la persona non ritrovare più quella sicurezza che lo stare in società e la condivisione di spazi e tempi, prima di questo momento, elargivano senza che ce ne rendessimo conto.

Quella che si vuole muovere è quindi una riflessione su questo tema, il futuro che ci ritroveremo a dover affrontare. Comprendere quelli che potrebbero essere i cambiamenti, gli “accorgimenti” da tenere in considerazione una volta che la situazione potrà dirsi nuovamente stabile e sicura, ma anche quello che nonostante la pandemia non cambia e non cambierà, come i percorsi di vita, lo stare in società, perché l’uomo è appunto, da definizione, “un animale sociale”. Tutto questo, può essere determinante per il successo della fuoriuscita dalla situazione attuale.

Ciò che stiamo vivendo deve essere anche un importante insegnamento, e non unicamente qualcosa che irrimediabilmente schiaccia e travolge.

Come è stato riconosciuto prima in Giappone e poi nel resto del mondo, lo stato di hikikomori non è da considerarsi come cronico. Per la persona, è possibile, essendo sostenuta tramite attività mirate, come ad esempio incontri con un limitato numero di persone rispetto a temi di interesse comune, o attività lavorative di prova, essere rieducata allo stare in società e risignificare la società stessa, in modo che essa possa essere vista anche come luogo sicuro e sede di opportunità e scambio, e non solo come un ambiente pressante e austero dal quale ritirarsi.

Forse, può essere questo un primo approccio da prendere in considerazione allora, cioè di essere pronti a “ritornare”, anche se a piccoli passi e sempre tenendo in stretta considerazione le normative via via promulgate a livello statale, a quella normalità che ad oggi sembra essere molto lontana. La coscienza, la consapevolezza di quello che si può trovare “là fuori”, può essere il primo motore per la ripresa della nostra vita “in comune”.

Riflettere, trovare motivazioni personali, al di fuori di quelle che sono per forza di cose “imposte”, rispetto al tornare alla vita di sempre, anche prima che questo sia effettivamente possibile, può essere il primo passo per la buona riuscita di quello che sarà per tutti, il prossimo passo da compiere.

A cura del dott. Marcello Bombarda