Genitori e figli adottivi: 5 consigli per parlare delle loro radici

Molto spesso la ricerca delle origini da parte di un bambino adottato manda in crisi i genitori e fa pensare loro di aver fallito la propria missione. Questa ricerca è in realtà un processo naturale ed inevitabile che ogni persona adottata, presto o tardi, si troverà ad affrontare.

Inizialmente si parla di fenomeno intrapsichico: il bambino fantastica sulle ipotetiche caratteristiche dei propri genitori d’origine, sul Paese in cui è nato, o sulla presenza eventuale di fratelli e sorelle. Successivamente il processo diventa interpersonale e coinvolge genitori, parenti e altri adulti di riferimento. Se nella prima infanzia vengono poste molte domande delle quali però non sono ancora in grado di comprendere la risposta, nel periodo adolescenziale si amplifica il disagio verso la propria condizione di adottato e il numero delle domande diminuisce.

Rispondere a quesiti così complessi non è certo facile per i genitori adottivi o aspiranti tali; ecco una piccola guida per una comunicazione efficace!

  1. La discussione sull’adozione con il bambino è un processo e non un evento: non è necessario, e nemmeno consigliato, esaurire l’argomento adozione in una singola occasione. I dubbi e le domande che sorgeranno spontaneamente devono avere il tempo di maturare nel bambino; anche il genitore può e deve riflettere su quanto comunicare e con quali modalità.
  2. Condividere informazioni sull’adozione deve essere un dialogo con il bambino non qualcosa da comunicargli: è importante che vi sia uno scambio reciproco tra genitori e figli in modo che venga normalizzata la necessità del bambino di porre domande. Non preparate un discorso precotto, ricostruite insieme a vostro figlio la sua storia e date valore alla sua curiosità!
  3. Prima ne parlate, meglio è: non esiste un “tempo giusto”, di solito però questo processo inizia quando il bambino ha 3 o 5 anni. Sicuramente questo aiuta a normalizzare e a diminuire le ansie prima che il bambino inizi a fare domande complicate.
  4. Iniziare la storia adottiva con la nascita e la diversità nella famiglia e non con l’adozione: è più facile iniziare raccontando come è venuto al mondo così che riconosca in sè una caratteristica in comune con gli altri bambini. Successivamente si può parlare della famiglia, di come si forma e dei diversi tipi di famiglia che possono esistere. In questo modo si rende “normale” la situazione adottiva e il bambino comprende che la sua non è l’unica famiglia ed essere “diversa”. Il bambino ha bisogno di pensare di essere degno di affetto e questo lo intuisce dal proprio inizio.
  5. Evitare giudizi negativi sui genitori biologici o sull’eredità del bambino: spesso la famiglia d’origine ha perso il bambino proprio per difficoltà legate ad abuso di droga o a stili di vita devianti. Il modo migliore per parlarne al bambino è quello di utilizzare termini più neutri possibile. Inoltre è importante separare all’interno del racconto quelli che potevano essere gli intenti del genitore d’origine (ad esempio prendersi cura del bambino) e quelle che sono state invece le azioni (come l’impossibilità di essere un buon padre a causa della dipendenza dalla droga). Quando vi sono delle informazioni particolarmente complicate è invece preferibile rivolgersi ad un esperto.

Essere aperti ad una comunicazione che abbracci le origini del bambino è segno di rispetto della sua duplice appartenenza e migliora il rapporto con i genitori adottivi.

 

A cura di

Dott. Premoli e Dott.ssa Varalli.

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Indicazioni bibliografiche:

Scabini E., Rossi G., (1988). Allargare lo spazio familiare: adozione e affido.