La nostra personalità e davvero scritta nei nostri geni?

Le scoperte degli ultimi decenni riguardo al DNA, la cosiddetta “doppia elica”, hanno portato ad avere una maggiore conoscenza dell’essere umano. I geni sono le nostre istruzioni e ogni cellula contiene le informazioni sufficienti a definirci nel minimo dettaglio: colore degli occhi, dei capelli, statura, corporatura, ecc. Ma cosa ci dice il DNA della nostra personalità?

Mendel per primo scoprì le prime leggi della genetica. Incrociando vari tipi di piselli scoprì il concetto di dominanza di alcune caratteristiche su altre. Erano gli albori dello studio della genetica, studio che ai giorni nostri si è esteso al mondo animale, all’uomo.

Al giorno d’oggi conosciamo molte cause delle principali sindromi, ci è chiaro l’effetto che una determinata delezione (“taglio o mancanza di una parte di gene”) può avere sull’individuo, sappiamo dove sono localizzati i geni deputati ad una determinata funzione. In poche parole, immaginando il DNA come una grande cartina topografica, siamo ormai in grado di identificare le principali città, i capoluoghi di provincia.

In alcuni casi, però, la genetica sembra spingersi un po’ troppo oltre, gettando spesso le persone nello sconforto: “se è già tutto scritto nei miei geni, io cosa posso fare per cambiare?”.

In questi casi un genetista potrebbe rispondere “Non ci puoi fare niente”. Ed ecco lo sconforto: il non essere padroni di sé stessi, ma completamente assoggettati a delle regole scritte.

Ciò è soprattutto vero per alcune manifestazioni non direttamente visibili, per intenderci che vanno più in profondità del colore degli occhi o del tipo di capelli (lisci o mossi), come è ad esempio il caso della personalità.

Fortunatamente in casi come quello della personalità, nonostante i titoli roboanti di alcuni giornali che annunciano come la determinata ricerca scientifica sia riuscita a scoprire il “gene dell’aggressività” o quello dell’empatia, le cose non sono così semplici e –quindi- non tutto è predeterminato.

L’esistenza di un unico gene deputato allo svolgimento di un’unica funzione complessa (come può essere concepita la personalità –benché non sia propriamente una funzione, piuttosto un “costrutto”) è pura fantascienza. Si può infatti al massimo parlare del coinvolgimento di alcuni geni, nella manifestazione di una determinata caratteristica (come ad esempio per l’aggressività).

Più geni lasciano quindi presupporre una maggiore variabilità, data dalle possibili combinazioni degli stessi; quasi come avviene per la combinazione di una cassaforte, in cui per giungere a quella corretta è necessaria una lunga serie di tentativi costituiti da più combinazioni diverse.

In aggiunta a questa discreta complessità a carico dei geni (e non al semplice coinvolgimento di un unico gene, quindi) si associa l’influenza di fattori non genetici. Tra questi si possono citare le esperienze infantili, le relazioni passate e attuali, ciò che è accaduto un istante prima, ecc., raggruppabili sotto la grande definizione di “eventi ambientali”.

Il ruolo dei geni, alla luce di questa enorme quantità di fattori che possono portare all’espressione di un determinato comportamento o alla “costruzione” di un costrutto tanto complesso quanto la personalità, diviene marginale e riducibile ad una sorta di “predisposizione” che, se non elicitata da una (o più) precise combinazioni (“interazioni”) con eventi ambientali, probabilmente mai si manifesterà.

Per onore di semplicità, immaginiamo due fratelli gemelli figli di genitori depressi: uno sviluppa la depressione, mentre l’altro no. Ciò dimostra come una stessa predisposizione genetica (che rende entrambi i gemelli maggiormente inclini allo sviluppo di una sintomatologia depressiva) può portare a manifestazioni molto diverse (uno è “malato”, l’altro no), principalmente a causa dei diversi fattori ambientali, dei diversi vissuti dei due fratelli.

Stessa cosa –ma in maniera molto più articolata- accade per quanto concerne la personalità, costrutto come detto decisamente ancora più complesso.

Pertanto parlare del “gene della personalità” o anche di “geni della personalità” attribuendo a lui o a loro in toto la manifestazione di una determinata personalità (o di un Disturbo della Personalità) è scorretto.

Troppi sono i fattori coinvolti e molti di essi sono difficilmente rintracciabili (pensiamo ad esempio alle esperienze di vita che ognuno di noi ha fatto) e, quando identificati, la loro influenza è spesso difficile da misurare.