Depressione: facciamo chiarezza.
Probabilmente mai nessun termine fu così abusato –e così spesso a torto- tanto da portare alla banalizzazione di quella che è a tutti gli effetti una patologia. E quando vi è confusione e/o incomprensione ciò che accade è che la patologia perde di importanza, venendo classificata come una “mancanza di volontà”. Vediamo di fare un po’ di chiarezza.
“Oggi mi sento depresso!”, oppure “Mamma mia che depressione!” sono frasi che si sentono di continuo nel linguaggio comune e che accompagnano eventi qualsiasi: dal dover affrontare una riunione noiosa o al trovarsi davanti ad un evento inatteso. Certo, sono senza alcun dubbio situazioni che possono risultare oltre che spiacevoli, anche frustranti, ma di qui a parlare di “depressione” la strada è parecchio lunga. Nel linguaggio clinico, il termine “depressione” funga da abbreviazione per “Disturbo Depressivo Maggiore”, ossia una vera e propria sindrome che causa parecchie disabilità alle persone che ne sono affette, quali –volendone elencare solo alcune:
– Perdita di energie
– Perdita di concentrazione
– Perdita di memoria
– Difficoltà di sonno
– Difficoltà a provare piacere
– Difficoltà lavorative, relazionali, sociali
La disabilità e la sofferenza causata dal disturbo è tale, da superare in intensità molti dolori riferiti esclusivamente all’area fisica. Non è raro infatti sentire pazienti affetti da depressione affermare di preferire sottoporsi a cicli di chemioterapia (già affrontati per altre patologie), piuttosto che soffrire di depressione. Altri ancora sarebbero disposti a rinunciare ad un arto, pur di evitare il malessere percepito durante gli episodi depressivi. Di qui si comprende come la depressione (intesa come “Disturbo Depressivo Maggiore”) sia qualitativamente diversa dall’accezione che invece assume nel linguaggio comune, nelle conversazioni cui spesso si può assistere.
In questi ultimi casi, infatti, le persone hanno in mente situazioni ampiamente meno “gravi” di quanto invece si riscontra nella patologia. Come detto, ci si potrebbe riferire alla tristezza per non essere riusciti a raggiungere un determinato obiettivo, ad una sorta di malinconia per trovarsi da soli quando invece si preferirebbe essere in compagnia, oppure perché si è persa l’ultima puntata del proprio telefilm preferito. In queste situazioni non si può negare la presenza di un “disappunto”, come di una “tristezza”, che tuttavia assume più la forma della cosiddetta “disforia”, ossia una condizione umana assolutamente naturale, che non ha nulla a che vedere con la (psico)patologia. Ognuno di noi, infatti, si trova inevitabilmente ad avere un umore non sempre costante, bensì lievemente altalenante (sottolineiamo “lievemente”): alcuni giorni si è più felici di altri e di fronte ad eventi particolarmente drammatici la tristezza è normale che sia presente (è proprio la reattività emotiva agli eventi a renderci umani!). In questi casi il supporto morale di amici e parenti può essere ben accetto e, soprattutto, migliorativo della condizione di disagio.
La depressione –e qui si fa riferimento alla condizione clinica- è invece una condizione la cui sintomatologia sopra esposta persiste per lunghi periodi (alcuni mesi), ed è praticamente insensibile al supporto sociale (in alcuni casi la presenza dei propri cari può addirittura risultare fastidiosa). La presenza di una diagnosi “ufficiale” di “depressione” (linguaggio clinico!) si scontra poi con le reazioni dei propri amici e parenti, reazioni che rientrano nel più generale termine di “incomprensione”:
– Negazione (“la depressione non esiste, anche io a volte sono triste…”)
– Svalutazione (“è solo questione di forza di volontà”)
– Indifferenza (“gli/le passerà…”)
La conseguenza di queste reazioni è l’esortare il paziente a “darsi da fare”, cosa che invece non accade se ci si trova difronte a patologie tumori o infarti. In patologie “visibili” ammonizioni di questo tipo sarebbero inaccettabili e nessuno si sognerebbe mai di metterle in atto; nei casi di depressione ciò accade quasi sempre. Poniamo quindi attenzione a ciò che diciamo, poiché la svalutazione di una patologia corrisponde alla svalutazione di ogni paziente affetto da essa. Essere depressi (nel senso di “giù di morale”) non è la stessa cosa di soffrire di depressione (Disturbo Depressivo Maggiore); analogamente soffrire di depressione non significa semplicemente essere tristi.
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