I cambiamenti della progenie: la concezione darwiniana della vita.
Ogni volta che si parla di evoluzione inevitabilmente e a ragion di causa, si cita Darwin, il padre della teoria evoluzionistica.
Egli che riuscì, grazie ad un suo scritto –che tutt’oggi costituisce la pietra miliare della genetica e della biologia evoluzionistica in generale- a stravolgere il mondo intero e le sue credenze riguardo alla molteplice varietà di organismi, delle loro origini, interazioni reciproche, somiglianze e differenze. Charles Darwin (1808-1882) infatti, raggiunse la notorietà con la pubblicazione “On the Origin of Species by Means of Natural selection”, tramite la quale ebbe la presunzione –secondo alcuni- di fornire una spiegazione convincente dell’evoluzione delle specie.
Questa, da lui definita come complesso dei processi che hanno contribuito a formare la vita sulla Terra instaurando un processo di adattamento all’ambiente, viene spiegata nella sua opera, sulla base di due convinzioni:
1. Le specie oggi presenti sono frutto di una lunga evoluzione partita da specie ancestrali.
2. Il meccanismo evolutivo che secondo Darwin avrebbe portato all’evoluzione, sarebbe la selezione naturale, ovvero il “survivor of the fittest”, solo le specie migliori hanno potuto resistere e originare una progenie più ampia.
Ma come hanno fatto alcuni soggetti a sopravvivere di più e meglio rispetto ad altri?
Bene, a questa domanda Darwin risponde facendo riferimento al ricorrente tema delle mutazioni: una mutazione che risulta essere positiva per una determinata specie ne facilita la sopravvivenza e –di conseguenza- anche la riproduzione. Prima di proseguire però nella disamina dell’opera darwiniana, vediamo come si collocò –storicamente e culturalmente- questa sensazionale quanto sconvolgente scoperta nel mondo dell’epoca e quali effetti ne scaturirono. Ai primi lettori l’Origine delle Specie si presentò come uno scritto eccessivamente radicale in quanto metteva in discussione il mondo scientifico e non dell’epoca, partendo dalla confutazione del paradigma convenzionale che stimava l’età della Terra in poche migliaia di anni, considerandola creazione di un Ente Supremo e Divino. Vero è che nel passato dei filosofi greci l’idea di un’evoluzione graduale si fece sentire, ma Platone e poi Aristotele –che maggiormente influenzarono il mondo occidentale- contrastarono tale idea, ponendo dunque, nel 1859, il povero Darwin “solo contro tutti” (o quasi). Inoltre è da evidenziare il fatto che, già nel Vecchio Testamento, la religione ebraico-cristiana si mostrava piena di pregiudizi nei confronti di una qualsivoglia teoria evoluzionistica.
Circa 100 anni prima di Darwin, lo studio delle specie ebbe inizio con Carlo Linneo che, catalogando le diverse forme viventi, è oggi considerato il padre della Tassonomia (cioè quel ramo della biologia che –appunto- si occupa della denominazione e classificazione delle forme viventi). Da qui (circa 1700) iniziarono a compiersi passi sempre più grandi, con Cuvier che, scoprendo i fossili nelle rocce sedimentate comprese la conformazione stratificata della Terra e la sua corrispondenza temporale [tanto più in profondità si trovava un fossile, tanto più antico doveva essere] e giunse alla formulazione della “teoria delle catastrofi”. Successivamente alcuni tentarono di spiegare quello strano ‘meccanismo di sviluppo’ più avanti chiamato “Evoluzione”, tra cui spiccano i geologi J.Hutton e C.Lyell. L’unico che però si cimentò nella definizione dei meccanismi dell’evoluzione –anche se con risultati che si rivelarono catastrofici e assurdi- fu Lamarck.
Nel 1809, infatti, Jean Baptiste Lamarck pubblicò la sua teoria, a seguito di confronti tra specie attuali con le forme fossili, elaborando linee di discendenza comuni. Lamarck sviluppò un’evoluzione verticale, dal fossile alla specie moderna, guidata al raggiungimento di una complessità sempre maggiore, fino alla perfezione, infatti –e questo fu il più grande errore di Lamarck- egli credeva che a mano a mano che gli organismi migliorano in termine di perfezione, essi diventano più adatti al proprio ambiente. L’esempio più conosciuto che egli propose riguarda le giraffe, che per cibarsi delle foglie più alte di un albero, hanno sviluppato un collo via via sempre più lungo. Analogamente il disuso di un determinato organo porta alla sua scomparsa. L’ereditarietà delle caratteristiche acquisite e la loro trasmissione alla progenie sono senza dubbio due idee curiosamente interessanti, ma come è stato appurato in seguito, ridicole e prive di fondamento.
A questo punto intervenne Darwin, già da piccolo interessato ai misteri della natura, fu iniziato dal padre –medico- alla carriera di dottore. Charles, però, non rivelò particolare intresse e si spostò a Cambridge per intrapprendere la carriera ecclesiastica. Nel 1831 si imbarcò, non senza l’ostruzionismo paterno, sulla nave Beagle per un viaggio intorno al mondo. Visitò così paesi esotici e catalogò una moltitudine di specie. Tra queste meraviglie della flora e della fauna sudamericane Darwin mostrò particolare interesse per le isole Galapagos, sulle quali individuò 13 varietà di fringuelli, che sembravano appartenere ad altrettante specie diverse. Solo più tardi, già ritornato in Inghilterra, giunse alla brillante e arguta conclusione che si trattasse di un’unica specie. Nella sua concezione, infatti, una nuova specie emergerebbe da una forma ancestrale grazie al graduale accumulo di adattamenti ad un nuovo ambiente. Gradualmente, dopo molte generazioni, le popolazioni si sarebbero sufficientemente differenziate da poter essere considerate specie differenti. Tutto questo –secondo Darwin- sarebbe potuto avvenire solo grazie al fenomeno delle mutazioni che, più adatte in un determinato ambiente piuttosto che in un altro,(e.g. su un’isola rispetto ad un’altra), avrebbero condotto all’evoluzione di più varietà. Fu proprio grazie all’accurata analisi dei fringuelli delle Galapagos che Darwin giunse a questo principio di adattamento all’ambiente e di isolazionismo, presupponendo che gli organismi avessero compiuto un cammino evolutivo parallelo a quello attuato dalla Terra stessa (come affermarono i geologi Hutton e Lyell). A questo punto Darwin si trova tra due fuochi: da un lato la ferma convinzione di avere in mano una teoria che non lasciava spazio a confutazioni –tra l’altro raccolse un numero enorme di prove avvaloranti-, dall’altro un mondo scettico e bigotto che, in tema di critiche e reazioni, non lasciava presagire niente di buono.
Questa agitazione fece in modo che un altro studioso –Wallace-, che era giunto alle medesime conclusioni di Darwin, si mettesse in contatto con lui. Fu appurato da una commissione (la Linnean Society di Londra) che il primo ad aver sviluppato questa nuova teoria dell’evoluzione fu Darwin che quindi poté, spalleggiato da Wallace, affrontare lo scetticismo collettivo a testa alta. Se ancora oggi parliamo di Darwin, dei fringuelli, di selezione naturale in ambito scientifico, allora questa è la più lampante prova di veridicità delle affermazioni di Charles Darwin, che sapientemente catalogò le specie più disparate. Una piccola differenza tra oggi e i tempi della scoperta dell’evoluzione esiste, e cioè che Darwin ipotizzò che anche per tutte le altre specie valesse il principio dei fringuelli, oggi, invece, ne siamo sicuri.
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