La depressione è contagiosa.
I famigliari di un depresso spesso sono anch’essi depressi. Talvolta si parla di intere famiglie “depressogene”. Quindi la depressione è contagiosa? E come difendersi dato che non esiste un “vaccino”?
Proprio come l’influenza, anche la depressione è altamente contagiosa essendo veicolata dalla socializzazione. Un persona depressa è infatti in grado –suo malgrado- di contagiare uno ad uno tutti i membri della famiglia, creando vere e proprie “famiglie depresse” che, tuttavia, molto spesso non sono nemmeno al corrente della propria condizione psicopatologica.
Le ripercussioni di una tale situazione sono facilmente immaginabili, soprattutto tenendo conto dell’importanza che la famiglia solitamente ha per la persona affetta da depressione. Una “famiglia depressa”, infatti, non sarà in grado di fornire il supporto necessario non solo al famigliare “malato”, ma alla famiglia nella sua interezza. La depressione a livello famigliare risucchia letteralmente tutta l’energia vitale, trasformando il nucleo familiare in un grande e profondo buco nero, caratterizzato da un continuo di emotività negativistica.
La manifestazione di tale patologia può essere sotto forma di una malattia fisica o, più impalpabilmente, un’aria di irritabilità e negatività. Le conseguenze sono –come per il depresso “singolo”- il ritiro sociale, pessimismo, sarcasmo e silenzio, in poche parole l’annullamento del concetto di famiglia.
Se, quindi, la depressione è così contagiosa, come difendersi e prevenire il rischio di una vera e propria “epidemia” famigliare?
L’aspetto più importante –proprio come nella depressione del singolo individuo- è la prevenzione. Essa consiste nell’avere un’adeguata conoscenza della malattia, una buona comprensione e quindi di identificazione precoce di quelli che vengono definiti “campanelli d’allarme”, al fine di riuscire a riconoscere le prime modificazioni messe in atto dal disturbo.
Diffondere queste conoscenze e queste abilità all’interno della famiglia fornisce la possibilità ad ogni singolo membro di essa, di fungere da “controllore”, di essere quindi in grado di dare l’allarme prima che sia troppo tardi. Ogni età ha i suoi “campanelli d’allarme” caratteristici, così si avranno assenze scolastiche e ritiro dalle attività sociali nei bambini in età scolare; fumo e uso di sostanze e/o alcol negli adolescenti; perdita di appetito e perdita di interesse nella vita nelle persone più adulte.
Altro aspetto importante che rientra comunque sempre nella grande area della prevenzione è il riuscire a sviluppare un clima di positiva e funzionale comunicazione tra i vari membri della famiglia. È infatti noto che, all’interno delle famiglie di persone affette da depressione, vi sia una sorta di “germe della depressione”, quell’aspetto genetico che si tramanda di generazione in generazione e che fa in modo di trasferire un generale pessimismo, di pensiero “negativo”. Con tale tipo di pensiero si identificano quelle credenze distorte della realtà, credenze che virano marcatamente in senso negativo. Per avere un’idea più chiara di cosa si intenda con il termine “pensiero negativo”, ecco alcuni esempi:
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Catastrofizzazione o esagerazione degli aspetti più dolorosi di un evento spiacevole
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Impersonare o vedere sé stessi (o altri membri della famiglia come i propri figli) quale causa di un risultato deludente
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Pensiero del tipo “tutto-o-niente”, “bianco-o-nero”: riduce la complessità degli eventi e delle cose a due posizioni assolute e diametralmente opposte; un esempio su tutti: essere perfetti o essere nulla
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Concentrarsi solo sugli aspetti negativi di un’esperienza, trascurando in toto quelli positivi
Ogni membro della famiglia può quindi esercitare un ruolo fondamentale nella prevenzione dei sintomi depressivi fungendo da controlli reciproci. Accorgersi che un membro della famiglia ha iniziato ad elaborare pensieri catastrofici o inizia a manifestare la tendenza a concentrarsi solo sugli aspetti negativi di uno o più avvenimenti, costituisce un importante intervento che si ripercuoterà positivamente sull’intero nucleo famigliare.
Pertanto sarà importante che ogni membro possieda un numero sufficiente di esperienze e ricordi positivi cui attingere nei momenti più difficili, esperienze e ricordi che potranno essere condivisi con gli altri familiari al fine di accrescere una sorta di “patrimonio comune”, una specie di database condiviso di esperienze positive.
Una ulteriore strategia potrà essere il creare ampi momenti di condivisione in famiglia, anche contestualmente ad attività quotidiane (colazione, pranzo, cena) o il coinvolgimento in attività di intrattenimento (cinema, teatro, sport, ecc.), analizzando gli aspetti positivi e anche negativi di un determinato momento. In queste situazioni non sarà tanto importante l’attività fine a sé stessa, quanto il rafforzarsi del legame tra i vari membri della famiglia, che va ben oltre il semplice “legame di sangue”.
Grazie per queste blog. L’ ho sommato en mi pagina facebook in inglese.