I bambini leggono le labbra, prima di imparare a parlare.
Un interssante studio (David J. Lewkowicz1 and Amy M. Hansen-Tift (2012) “Infants deploy selective attention to the mouth of a talking face when learning speech”- PNAS[1]) sostiene che i bambini apprenderebbero a parlare non solo ascoltando le parole, ma osservando i movimenti labiali.
Nel periodo in cui il bambino inizia a produrre i primi fonemi –dapprima casuali, poi via via sempre più intenzionali ed articolati- si può osservare come il loro sguardo passi dall’essere quasi esclusivamente incentrato sugli occhi del loro “interlocutore” (tipicamente un genitore), al spostarsi anche sulle labbra della persona che si trova davanti.
Questo accade perché al fine di apprendere il linguaggio non è solo necessario riconoscere le varie parole e i vari fonemi emessi, ma anche imparare come tali suoni vengono prodotti. Pertanto sarà di fondamentale importanza per il bambino apprendere le conformazioni che le labbra e la lingua devono assumere, per produrre un determinato suono, e ciò avviene primariamente per imitazione. La lallazione, ossia quel ripetere quasi continuo di alcuni fonemi semplici (“la-la”, “ga-ga”, ecc.) fungerà quindi da “palestra” per affinare i movimenti labiali, fino a raggiungere il suono desiderato.
Nello studio condotto dallo Psicologo Evolutivo dott. David Lewkowicz della Florida Atlantic University si è proprio partiti da queste osservazioni, concludendo che il processo di apprendimento del linguaggio nel bambino, è un fenomeno probabilmente più complesso di quanto si fosse fino ad ora immaginato.
Nel suo studio, il dott. Lewkowicz e la sua équipe, hanno reclutato 180 bambini di differenti età (4-6-8-10 e 12 mesi) a cui hanno mostrato il video di una donna che parlava loro in inglese o spagnolo. Tutti i bambini erano figli di genitori di madrelingua inglese. Un’apposita telecamera leggera, montata su un piccolo casco, registrava gli spostamenti dello sguardo del bambino, calcolando ulteriori altri parametri, quali il tempo di fissazione dello sguardo su un determinato punto dello schermo.
Ciò che I ricercatori hanno primariamente osservato, è stato un importante spostamento dell’attenzione dei bambini. Quando la donna parlava in inglese, i bambini di 4 mesi focalizzavano la propria attenzione sullo sguardo della donna del video; quelli di 6 mesi suddividevano la propria attenzione in egual misura tra occhi e labbra. I bambini di 8 e 10 mesi, invece, si concentravano maggiormente sui movimenti labiali, mentre i più grandi del campione -i bambini di 12 mesi di età- tornavano a concentrarsi sullo sguardo della donna.
Nel momento in cui la donna del video parlava invece spagnolo, gli studiosi osservarono come nei bambini più grandi (12 mesi), l’attenzione fosse principalmente incentrata sulle labbra della donna, quasi necessitassero di maggiori informazioni per decodificare un linguaggio a loro sconosciuto.
Lo studio di Lewkowicz e colleghi è decisamente importante, soprattutto a fronte delle difficoltà -note nel mondo scientifico- relative alla difficoltà di reperimento e standardizzazione di dati su bambini così piccoli, oltre a costituire una innovativa visione del processo di apprendimento del linguaggio. Fino a non molti anni fa, infatti, i principali studi sull’argomento si sono occupati di analizzare in primis l’ascolto e le varie modalità di ascolto del bambino nell’apprendimento del linguaggio, trascurando invece totalmente l’imitazione dell’adulto basata sull’osservazione.
Certamente i dati presentati costituiscono un iniziale spunto di riflessione per lo sviluppo di ulteriori ricerche e approfondimenti, anche in risposta alle critiche mosse (una su tutte riguarda il “disturbo” dei dati a carico della potenziale riduzione dell’attenzione nei bambini).
Quindi, cari genitori…
Certamente questi primi dati potranno invece essere utili alle neo-mamme e ai neo-papà, suggerendo l’importanza di mostrare i propri movimenti labiali durante l’emissione del linguaggio, favorendo quindi un migliore e più rapido apprendimento dello stesso da parte dei propri figli.
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[1] L’articolo è consultabile sul sito della PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences.