Compiti… che stress!
“Compiti…che stress!”, quante volte l’avete detto (o l’avete sentito dire)? Bambini svogliati e mamme con la pazienza che mano a mano si esaurisce, rimproveri, nervosismo e… i compiti non vengono fatti (oppure sono fatti male). E il giorno dopo? Stessa scena. Come affrontare la questione?
Non stiamo qui a discutere se i compiti che vengono dati oggigiorno siano pochi o siano troppi, partiamo dal semplice presupposto che siano da fare.
Il problema molto spesso è la modalità.
Ci sono bambini che sono seguiti passo-passo, altri a cui invece viene lasciata la completa organizzazione del proprio studio. In tutti i casi lo stress che deriva dai compiti è sempre molto elevato, dapprima nei genitori (e, per ripercussione, anche sui figli).
Vediamo due casi estremi:
Giovanna arriva a casa e ad attenderla c’è la mamma già seduta al tavolo della cucina. Giovanna si siede, mentre la mamma svuota lo zaino e si impossessa del diario, scandendo per filo e per segno, il programma delle prossime 4 ore di compiti e studio della figlia, fino a quando sarà il momento della cena.
Giovanna è avvilita e svogliata, l’idea di tutte quelle ore sui libri le mette il malumore ed inizia svogliatamente a fare ciò che la mamma le dice. Giovanna commette molti errori, palesemente di distrazione, errori che man mano mandano su tutte le furie la mamma che esige maggiore applicazione e concentrazione.
Marco arriva a casa dopo la scuola e trova suo fratello maggiore che gioca alla playstation con amici. Decide di unirsi al gruppo, anche se deve prepararsi per la verifica di matematica del giorno dopo. Farà i compiti dopo cena, o forse anche la mattina dopo.
All’ora di cena rincasa la mamma di Marco che, scoprendo come il figlio non abbia fatto i compiti, va su tutte le furie. E sono nuovamente litigi e punizioni. Marco si arrabbia e urla contro la mamma che, disperata, non sa come “gestire questo figlio così scapestrato”.
Queste due vignette estremizzano le posizioni che i genitori generalmente hanno nei confronti dei figli per ciò che riguarda i compiti di scuola.
In un primo caso, Giovanni, un controllo e un’assistenza eccessiva trasforma un importante momento di apprendimento e gestione di sé stessi in una mera esecuzione di un compito noioso. Difficile quindi in questa situazione assimilare nozioni e, soprattutto, difficile essere responsabili di sé e del proprio operato. Giovanni non riuscirà a rendersi conto del reale tempo a lui necessario per svolgere un compito (lo stabilisce per lui la madre), come difficile sarà comprendere che la responsabilità di un compito fatto bene (o fatto male) sia sua (la mamma gli ha detto di farlo così).
Marco invece è sprovvisto degli strumenti necessari ad una efficace regolamentazione, a fronte di un’assenza genitoriale. Facilmente, infatti, Marco si lascia “traviare” dal piacere derivante dal gioco, tralasciando quelli che invece sono suoi doveri. Il risultato – come per Giovanni – è un senso di fallimento dettato dai rimproveri della madre e probabilmente dalle note che l’insegnante gli darà per i compiti non svolti.
Come comportarsi quindi nella gestione dei compiti?
I compiti sono l’equivalente del lavoro degli adulti, nel senso che rappresentano il “dovere” di ogni studente. Ciò significa che – come per il lavoro – anche nello studio sarà necessario fornire gli adeguati strumenti (la cucina, ad esempio non è il luogo più adatto!) e dare una corretta ed esauriente spiegazione di come un determinato lavoro o compito andrà fatto.
Per il resto – come accade sul lavoro – ogni lavoratore lavorerà per sé. Potrà certamente richiedere chiarimenti o suggerimenti, ma ognuno sarà responsabile del proprio operato. Nel bene e nel male. Solo così, infatti, si potrà godere appieno di un lavoro (o compito) “ben svolto”, come anche si riuscirà a prendersi la propria responsabilità per eventuali “errori”.
Non dimentichiamo infatti che stiamo parlando di “scuola”, ossia del luogo in cui si impara. E per imparare è necessario anche sbagliare.
Continuiamo a roteare attorno a due punti di vista differenti, secondo lei i compiti sono da fare a prescindere, anche se sono troppi; ma se sono troppi la chiusa del suo articolo che vorrebbe essere anche la soluzione al problema rappresenta solamente una miope utopia. I genitori non aiutano i figli nei compiti perché si divertono ma solamente perché si sentono umanamente in dovere di aiutare i loro figli a scalare quella montagna che altrimenti li sommergerebbe e rappresenta lo stesso aiuto che si dovrebbe umanamente ad un moribondo che si incontra per strada, e tutto ciò perché la cultura generale vuole che i compiti siano da fare a prescindere altrimenti arriva la nota (questo traspare anche dal suo articolo,ed è per questo che mi perdoni la franchezza continuo a considerarlo un articolo superficiale e dannoso in una parola mediocre), i compiti a casa vengono dati anche per capire se la lezione è stata abbastanza chiara se la mole di argomenti trattati nell’ultimo periodo è stata recepita dai ragazzi a livello generale (questa è un’altra delle tante questioni che il suo articolo non approfondisce), quindi non c’è nulla di male ad andare a scuola con i compiti non fatti dopo un concreto impegno per farli, questo permette anche all’insegnante ad avere un feedback sul suo metodo di insegnamento (invece molti continuano a confondere il compito a casa con il compito in classe, e chi scrive articoli in merito, tramite le cose non dette o sottaciute lanciano passare messaggi errati).
Secondo me invece i compiti sono da fare solo se sono in quantità tale che lo studente non senta di dover scalare una montagna invalicabile ma una montagna accessibile che lasci dopo l’impresa un senso di appagamento per l’impresa compiuta (e possibilmente ancora qualche risorsa mentale per poter apprezzare questo appagamento) e se dopo un concreto impegno un ragazzo non dovesse comunque riuscire a farcela dovrebbe comunque avere la sensazione di poter parlarne all’insegnante ricevendo se è il caso una spiegazione aggiuntiva e non una nota.
In generale credo che probabilmente le nostre distanze di pensiero siano meno grandi di quanto questo articolo metta in evidenza ma continuo a ritenere che le cose sottaciute o tralasciate o abbozzate in questo articolo siano di gran lunga più importanti delle cose dette.
Gentile Marco,
la prefazione dell’articolo recita – cito testualmente – “Non stiamo qui a discutere se i compiti che vengono dati oggigiorno siano pochi o siano troppi, partiamo dal semplice presupposto che siano da fare.”, presupponendo che l’articolo non mira a valutare se i compiti che vengono dati oggigiorno siano troppi (o troppo pochi); intento dell’articolo era – paragrafo successivo – discutere delle modalità con cui tali compiti possono essere affrontati. E di qui due esempi – con due situazioni di “fantasia”, ma tratte dalla realtà – una in cui ai compiti (indipendentemente dalla mole) viene riservato un lasso di tempo prolungato, l’altra in cui ai compiti viene ritagliato uno spazio irrisorio, talvolta non adeguato (la sera tardi, ad esempio), con tutte le relative conseguenze.
La questione relativa alla quantità, alla mole dei compiti assegnata non viene trattata in questo articolo, ma solo il tempo che viene dedicato e la sua relativa funzionalità, sia ad un “corretto” sviluppo psicofisico dello studente, sia ad un efficace apprendimento.
Nuovamente, concordo con Lei che sarebbe utile fare studi approfonditi per identificare la “corretta” mole di compiti da assegnare agli studenti, ma – come specificato all’inizio dell’articolo – non voleva essere questa la sede per farlo. Qualora si fosse voluto procedere in tal senso (ma specifico nuovamente che non voleva essere questo lo scopo dell’articolo), allora sarebbe stato necessario “snocciolare dati”, cosa che nell’articolo cui stiamo facendo riferimento, non è stato fatto e parimenti allora sarebbe stato utile menzionare le direttive ministeriali e quant’altro emanato dal Ministero della Pubblica Istruzione, tracciando (allora lo sarebbe stato) un parallelismo stretto con le normative relative alla sicurezza sul lavoro.
Mi spiace si sia indignato, ma spero che questo breve confronto possa essere stato utile a dirimere quella che mi pare essere a tutti gli effetti una incomprensione.
Cordialmente.
Sono fermamente convinto che i compiti a casa siamo uno strumento fondamentale della crescita formativa-educativa di uno studente. Non ho mai scritto che non servono.
La mia indignazione è legata al fatto che lei ritiene che vadano fatti a prescindere (“siano pochi o siano troppi, partiamo dal semplice presupposto che siano da fare”) … sono da fare, sempre? anche se sono troppi, anche se sono inutili, demotivanti anche se stressano? Non so perché sia così difficile far comprendere che i compiti se non adeguati (anche in termini di tempo di impegno) possono essere molto dannosi. Quindi perché parlare con tanta superficialità del tempo da dedicare ai compiti.
Cercherò di farle comprendere la questione partendo da una sua convinzione.
Le riconosco che ha detto una cosa molto sensata quando ha detto che andare a scuola e fare compiti è un lavoro.
E allora perché prima di esprimere semplicistiche opinioni e snocciolare dati casuali non applichiamo a questi lavoratori la stessa normativa che deve essere applicata ai lavoratori dipendenti (D.Lgs 81/08, legge sulla sicurezza sul lavoro), dove il datore di lavoro è obbligato per legge (3 mesi di arresto e multa fino a 6400 euro in caso di inadempimento) a fare una valutazione del rischio, oggettiva, riguardante: stress lavoro correlato, affaticamento mentale, ergonomia degli ambienti di lavoro, rischi posturali, ect.
Solo da un serio studio, osservazione e monitoraggio potremo arrivare a stabilire qual’è la giusta mole di compiti anche in termini di tempo … le chiacchiere di chi scrive senza avere questi dati, secondo me, producono solo danni, mi auguro che anche lei se ne renderà conto.
Buongiorno,
trovo il suo articolo semplicistico, lei secondo me non si rende conto dei danni che possono provocare concetti come:
“Non stiamo qui a discutere se i compiti che vengono dati oggigiorno siano pochi o siano troppi, partiamo dal semplice presupposto che siano da fare.”
Esisterà pure un limite oltre il quale il compito non è più formativo ma alienante…. voi professionisti ve lo siete mai chiesto?
Lei parla di 4 ore di compiti !!! Tutti i giorni ? A che età? Anche questa informazione secondo me è semplicistica e per nulla professionale.
Ha mai fatto ricerche in merito? Provi a cercare in rete cosa pensa l’ocse sulla quantità di compiti dati in Italia rispetto al resto del mondo e sull’utilità di un eccessivo carico di lavoro.
Gentile Marco,
concordo con Lei: esistono dei limiti entro i quali i compiti cessano di essere un’attività formativo-educativa e l’esempio delle 4 ore pomeridiane dedicate ai compiti (l’esempio di Giovanna) è stato riportato quale un estremo disfunzionale. Non si tratta di un’informazione professionale, ma di un estratto di vita che spesso si svolge in molte case, ripeto: disfunzionale.
Per quanto concerne l’affermazione relativa al fatto che i compiti siano da fare, sinceramente non comprendo il Suo disappunto. I compiti, come la frequentazione delle lezioni in classe (la frequenza scolastica è un obbligo di legge), sono parte integrante dell’attività formativa. Tramite i compiti e l’esercizio gli alunni apprendono e rafforzano il proprio apprendimento.
Il quantitativo di compiti è una questione che l’articolo non voleva assolutamente affrontare, posto che siamo tutti concordi che un quantitativo eccessivo sia del tutto controproducente (vedasi la vignetta di Giovanna), come altrettanto logico può apparire il fatto che l’assenza di compiti costituisca parimenti un atteggiamento poco funzionale all’apprendimento. Soprattutto se consideriamo che l’obiettivo della scuola e dell’istruzione, sia quello di fornire ai più giovani gli strumenti per poter meglio affrontare il mondo lavorativo.
Cordialmente.