Il linguaggio del corpo: 4 errori tipici.
Nell’incontrare e dialogare con una persona ormai siamo consapevoli dell’importanza del linguaggio del corpo, il cosiddetto “non verbale”. Alcuni assumono che questo tipo di comunicazione, che viaggia in parallelo con il verbale, sia molto più importante. Esistono manuali che categorizzano i comportamenti solitamente assunti, attribuendo significati specifici. Ma è proprio così semplice?
Decisamente no. Non è possibile stabilire a priori che un determinato comportamento abbia un altrettanto (pre)determinato significato. Ciò appare molto simile alla Cabala utilizzata nell’interpretazione dei sogni.
Chi sostiene di poter interpretare in maniera standardizzata un comportamento parte del linguaggio non verbale di una persona, facilmente incorrerà in errori di interpretazione più o meno gravi.
Di seguito riportiamo alcuni esempi, quelli solitamente più spesso menzionati.
Il (falso) sorriso.
Spesso capita che le persone accompagnino le proprie affermazioni con un sorriso, spesso tuttavia si tratta di un non-sorriso. Ciò significa che la persona che produce un tale pattern di risposta, in realtà non sta assolutamente sorridendo, ma sta mascherando una situazione di disagio. Immaginiamo ad esempio una donna ad un colloquio di lavoro con un esaminatore/ valutatore uomo. In tale situazione se l’uomo mette in atto un comportamento seduttivo, la donna con buona probabilità produrrà un sorriso. Tale sorriso, però, avrà l’accezione di disagio, sarà un sorriso “falso”, un “non-sorriso”. L’uomo, dal canto suo, portà invece interpretarlo come una sorta di accettazione delle sue avances da parte della candidata.
La ricerca scientifica che si focalizza sulle macro- e micro-espressioni facciali, è riuscita a distinguere tra sorrisi veri, sorrisi di gioia, e “falsi sorrisi”. La chiave di lettura, a detta delle ricerche, starebbe nello sguardo. Un vero sorriso porterebbe la persona a strizzare leggermente gli occhi, producendo quelle che solitamente sono note come “zampe di gallina” (piccole rughe ai lati esterni degli occhi).
Scoprire le bugie.
Altro mito da sfatare: solo poche persone sono in grado di comprendere se una persona stia dicendo la verità o se invece stia mentendo. Ciò a causa del fatto che non siamo generalmente molto abili nel decifrare la complessità del linguaggio non verbale (e in primis della mimica facciale), soprattutto nel campo della menzogna, in cui il linguaggio verbale messo in atto è una “recitazione”, ossia la creazione di una realtà posticcia (la menzogna) che sia in grado di incastrarsi al meglio con la realtà.
Il contatto è segno di affetto.
Spesso si ritiene che il contatto, visto anche come una riduzione delle distanze, sia una manifestazione di affetto. In realtà tale concezione è abbastanza riduttiva, dato che la ricerca di contatto con il proprio interlocutore può avere diversi significati. Alcuni studi sull’argomento hanno determinato che la ricerca di contatto da parte di un uomo nei confronti di una donna stia in un certo senso a rappresentare un segno di dominanza. Altri studi oltreoceano hanno invece evidenziato come una commessa che toccasse un cliente nel consegnargli il conto, riuscisse ad ottenere mance più cospicue.
In sintesi, quindi, non è possibile stabilire con assoluta precisione quale effetto potrà avere il contatto fisico con il nostro interlocutore e il fatto di realizzare un contatto fisico dipende molto spesso dal carattere di una persona: esistono infatti soggetti che sono particolarmente inclini al contatto fisico, altri invece che preferiscono evitarlo attribuendo ad esso una valenza minacciosa.
Gli “ehm” all’interno di un discorso denotano nervosismo.
Fin dalle prime interrogazioni a scuola ci viene insegnato di non riempire i silenzi all’interno del discorso con “ehm” o fonemi simili, non solo perché particolarmente fastidiosi all’uditore, ma anche perché sottolineano l’incapacità dell’oratore di tollerare il silenzio, evidenziandone quindi un generale stato di tensione, di nervosismo.
In realtà non è propriamente così. In alcuni casi il riempire i momenti di silenzio con fonemi senza alcun senso (appunto come il “ehm”), può essere in grado di fornire maggiore fluidità al discorso, eliminando i momenti di silenzio che possono apparire come vere e proprie interruzione dell’orazione. Questa visione sembra essere confermata da alcuni studi, in cui si osservò una associazione positiva tra l’utilizzo dei riempitivi come “ehm” e una migliore valutazione dell’oratore.
In sintesi la decodifica del linguaggio non verbale (e in questo si può a buon grado far rientrare anche il summenzionato “ehm”) è un qualcosa di molto complesso che deve necessariamente prescindere dal senso comune. La decodifica e la comprensione del linguaggio non verbale richiede molta pratica e una notevole dose di sensibilità, dato che non esiste –e probabilmente mai esisterà- un dizionario per questo tipo di linguaggio.
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