Lo Strizzacervelli.
Trattasi di vero e proprio stigma, quello nei confronti della figura dello psicologo. “E’ il dottore dei matti”, si occupa dei pazzi, riesce a capire con uno sguardo chi si trova davanti… una sorta di mago o di veggente. Un articolo tra il serio e il faceto.
Partiamo dal presupposto che lo psicologo è prima di tutto un essere umano come tutti gli altri, quindi non è dotato di superpoteri o analoghe abilità ultraterrene.
Come ogni essere umano, lo psicologo mangia, beve, dorme, passeggia, possiede un’auto o un altro mezzo di trasporto, può praticare sport, ha un orientamento sessuale, ha personali credenze, idee politiche. Come tutte le altre persone sbaglia, si arrabbia, piange, si innamora, acquista, va in vacanza, ascolta la musica, ecc., insomma fa tutte quelle attività che qualsiasi altro essere umano svolge, unica differenza rispetto ad altre persone che magari sono ingegneri, casalinghe, medici, operai, impiegati, dirigenti è che ha scelto la professione di psicologo.
Se quindi lo psicologo è uguale ai suoi simili, cerca più o meno ardentemente anche contatti con loro –in senso extraprofessionale. Quindi si reca a cene, incontra amici e conosce nuove persone, e in queste situazioni si ingaggia in discussioni su argomenti vari ed eventuali, dal tempo alla politica, alla musica, alla letteratura, fino alla fatidica domanda: “Di cosa ti occupi?”.
“Sono psicologo” –la risposta. Di qui cala il gelo sulla conversazione, tra i commensali della tavolata: “Ah, caspita. Allora devo stare attento a quello che dico”, oppure “Allora avrai già capito chi sono”.
Questo è solo uno dei tanti esempi che esistono nella vita quotidiana relativi all’alone di mistero che riveste la figura professionale dello psicologo, una figura –forse non tutti lo sanno- legalmente riconosciuta a livello internazionale e, anche, italiano.
Esiste una pressoché infinta moltitudine di definizioni sia del terapeuta, sia della terapia stessa: “strizzacervelli” l’uno, “lavaggio del cervello” ciò che viene messo in atto, fino alla visione delle “sedute terapeutiche” alla stregua di “sedute spiritiche” o similari.
Curiosamente anche ai giorni nostri ciò che avviene all’interno di una di queste sedute (non spiritiche) è per molti ancora un mistero, complice forse anche ciò che viene spesso rappresentato nei film; ancora l’atmosfera appare cupa, con luci soffuse, alcune musiche inquietanti in sottofondo, in uno scenario surreale.
Cosa succede quindi nella stanza dello psicologo? Cosa si fa?
Alcuni immaginano di uscire totalmente modificati da una simile esperienza (vedi “strizzacervelli” e “lavaggio del cervello”), quasi si venisse rapiti dagli alieni per essere sottoposti ad esperimenti inauditi.
E ancora:
“Se vado da uno psicologo è perché sono matto?”; “Sono un debole?”; “Cosa penseranno gli altri?”; “E se qualcuno mi vedesse o lo venisse a scoprire, cosa penserebbe di me?”.
Tutte queste domande appaiono del tutto fondate, soprattutto se pensiamo che la situazione attuale, la nostra mentalità, vede la seduta dallo psicologo come una sessione di esperimenti sulla mente umana. Se fosse effettivamente così, non si avrebbe alcunché da obiettare a nessuna delle precedenti domande: la seduta psicologica sarebbe veramente qualcosa di speventoso/ vergognoso/ denigrante/ invasivo. La conseguenza di una tale visione è però purtroppo a tratti drammatica, poiché molte persone che potrebbero trovare un significativo giovamento da un supporto psicologico, rinunciano a chiedere un aiuto in tal senso, continuando a soffrire e senza riuscire a migliorare la propria qualità di vita –come del resto già discusso in altri articoli.
Ma quindi come stanno realmente le cose? Cosa accade all’interno di una seduta psicologia, all’interno della terapia?
Anzitutto è importante ribadire che lo psicologo non cura i matti, ma si occupa di aiutare le persone in difficoltà a trovare una soluzione funzionale al proprio malessere, favorendo quindi il recupero di una qualità di vita accettabile. Le difficoltà possono essere le più disparate, da quelle sentimentali a quelle relazionali più ad ampio spettro (in ambito lavorativo, amicale, familiare, ecc.); problematiche di difficoltà nella gestione dell’ansia oppure legate a sbalzi d’umore; gestione della rabbia, dell’aggressività; le difficoltà possono essere legate a periodi particolarmente stressanti o pesanti per la persona, quindi contraddistinte da uno o più eventi di difficile metabolizzazione (lutti, nascite, cambiamenti nello stile di vita, ecc.); o ancora difficoltà nella presa di decisioni (anche qui in vari ed eventuali ambiti della vita di una persona).
All’interno dello studio del terapeuta, quindi, che è un semplice studio con una scrivania e delle sedie e/o con due o più poltrone e/o con l’eventuale presenza di un lettino, in cui vi è una luminosità e un arredamento che sono variabili principalmente a seconda del gusto del terapeuta, avviene ciò che accade normalmente fra due persone: un colloquio. Lo strumento dello psicologo e dello psicoterapeuta è infatti la parola: vi sono terapeuti che parlano tanto, alcuni che tacciono assolutamente (questo dipende –oltre che dalla naturale inclinazione del professionista- soprattutto dal suo orientamento teorico). In terapia si può piangere, si può ridere, si può stare in silenzio, ma soprattutto si può parlare con una persona esperta di dinamiche relazionali e con tale persona ci si può confrontare, tale persona può fornire nuovi spunti di riflessione, nuove prospettive.
In terapia può avvenire di tutto, ma –cosa più importante- avviene l’esatto contrario di ciò che invece viene messo in atto nei confronti del terapeuta: il paziente non viene mai giudicato.