Macchinine e bambole: perché ridurre gli stereotipi di genere può essere utile.

I giochi di maschietti e femminucce sotto la lente della psicologia – una ricerca scientifica di qualche anno fa che fa pensare.

In uno studio del 2009 della rivista scientifica “Sex Roles” – che si occupa di ricerca in psicologia – ha affermato che il 31% di tutti i giochi realizzati per le femminucce riguarda il concetto di “apparenza” (trucchi in plastica, vestiti da principesse, ecc.), mentre il 46% dei giochi da maschietto fanno appello a “tratti” e “attività” (il piccolo chimico, palloni, ecc.). Essenzialmente, conclude la ricerca, i giochi distinti per genere (sessuale) insegnano ai bambini a definire una bambina sulla base del suo aspetto, mentre un bambino sulla base delle sue azioni.

Praticamente da sempre i maschietti hanno –si può dire “tradizionalmente”- giocato con macchinine, pistole, spade e –più recentemente- robot, mentre alle femminucce sono sempre stati destinati bambole e bambolotti, passeggini, e trucchi. Questo perché, nell’immaginario collettivo (e adulto), il gioco funge da “prima istruzione” di quelli che saranno i ruoli che bambino e bambina andranno a ricoprire nella società (il maschio avrà un lavoro “produttivo”, mentre la femmina si dedicherà alla casa e alla cura della prole).

Questi sono stereotipi, molto radicati nella nostra (e non solo) cultura, tanto che spesso sembrano trovare una loro prova di veridicità proprio nel mondo adulto. Il fatto che una donna abbia maggiori difficoltà a raggiungere posizioni di potere o che, qualora raggiunte, sia tacciata di eccessiva mascolinità, riprova (una sorta di feedback) che quella donna non rientra nei “canoni” stabiliti dalla società (o dallo stereotipo?). Una donna spesso guadagna meno di un uomo, una donna spesso è vista più debole dell’uomo. Ed ecco quindi che –in un certo senso- può apparire giusto fornire al maschietto maggiori “orizzonti di gioco” (il piccolo chimico, il piccolo mago, le costruzioni, le macchinine, ecc.), rispetto alla femminuccia, a cui rimangono i trucchi, i bei vestiti, i bambolotti o le bambole seducenti, ecc.

Questo stereotipo è come un circolo vizioso particolarmente consolidato e, quindi, difficile (ma non impossibile!) da interrompere: il maschietto ha giochi di “azione”, poiché il suo futuro sarà costituito da tante possibilità di azione, la femminuccia gioca con i trucchi e con i vestiti, poiché l’apparenza (oltre alla genitorialità e alla cura della casa) sono il suo destino. Tale stereotipo viene poi ulteriormente fomentato nel momento in cui l’indole del piccolo (o della piccola) devìa dalla norma, ossia nel momento in cui il maschietto si “pasticcia” il volto con qualche trucco o indossa qualche abito, oppure quando la femmina si diletta in gare di automobiline. Genitori inorriditi gridano –in questo caso- alla confusione di genere.

Ma come stanno realmente le cose, ossia gli stereotipi di cui sopra trovano una reale conferma in quella che può essere definita l’”indole” del piccolo (o della piccola) oppure no?

Ebbene, sempre nel summenzionato studio del 2009, viene dimostrato come i bambini siano in grado di discriminare i diversi ruoli di genere già all’età di 30 mesi. Dai 3 ai 5 anni si incrementa poi la consapevolezza di sé e del mondo.

Già nell’età in cui i bambini iniziano a gattonare sono in grado di acquisire opinioni (il termine “acquisire” non è qui casuale), opinioni che diventano talmente tanto forti e radicate, da portare i bambini a rifiutare il gioco tanto amato, se questo non rientra tra i giochi “accettabili” per il suo genere sessuale.

L’acquisizione di queste opinioni deriva proprio dagli stereotipi, oppure dagli “insegnamenti” –diretti e indiretti- che i bambini ricevono dagli ambienti circostanti. Un esempio su tutti è il colore rosa: una femminuccia che sia fin da piccola circondata da oggetti di questo colore, vestita e accessoriata di rosa, tenderà a fare di questo il suo colore preferito. Tale preferenza tuttavia è fortemente influenzata dalla mancanza di contatto con altri colori.

L’ambiente circostante (quindi in primis quello creato dai genitori in maniera più o meno consapevole) è di fondamentale importanza. Pertanto, come sostiene Dough Gartner, Ph. D., “quando trasmettiamo o sosteniamo messaggi di idealizzazione di genere –maschi “duri” e senza emozioni, e femmine “remissive”, passive e dipendenti- non offriamo ai nostri bambini la possibilità di essere sé stessi”. Al contrario si fornisce loro una “visione preconfezionata” dei due sessi cui il bambino e la bambina aderiscono.

La soluzione al fine di interrompere la catena viziosa dello stereotipo maschi-femmine sta quindi nell’eliminare l’”obbligo” per i maschi di sparare o giocare con le macchinine e per le femmine di accudire bambolotti o truccarsi da principesse, elidendo quindi lo stereotipo iniziale, ossia l’esistenza di ruoli diversi a seconda del genere sessuale e lasciando libero sfogo alla fantasia del bambino o della bambina.

Ecco alcuni suggerimenti “pratici”:

–        Acquistare giochi creativi, in un certo senso “neutri” dal punto di vista del genere sessuale, per usare un termine più diffuso: “unisex”. Un robot armato di tutto punto permette un unico tipo di gioco: il combattimento, riducendo i potenziali della fantasia del bambino. Giochi invece polivalenti, ossia che possono essere utilizzati in modi diversi, sono invece la chiave per una funzionale stimolazione della fantasia. In questo senso sono utili anche giochi apparentemente “poveri”, ossia poco strutturati: un telo o delle corde che possono essere collegati insieme a formare pressoché tutto, a discrezione della fantasia e a prescindere dal sesso.

–        Offrire diverse alternative: costringere la femmina con le bambole e il maschio con il pallone può essere limitativo e, soprattutto, non permette la sperimentazione. Un tiro al pallone con la bambina e il gioco con la cucina-giocattolo per il bambino, costituiscono il fornire la possibilità al/la figlio/a di “provare” e quindi decidere cosa piace e cosa no. Limitare la possibilità di scelta ai giochi “per soli maschi” o “per sole femmine” significa ridurre ampiamente la libertà.

–        Incentivare il gioco collettivo. Il confronto con altri bambini, ambosessi, permette la creazione di un unico gioco condiviso da tutti: non esisteranno quindi giochi “sbagliati” (perché “dedicati” ad un solo genere sessuale), ma semplicemente giochi che potranno essere più o meno divertenti –soggettivamente- a seconda delle inclinazioni del singolo bambino.

Il gioco è e deve essere espressione di libertà e fantasia nel bambino come nella bambina. Lo stereotipo riduce invece questa libertà.

Dott. G. Franciosi