Bugie: che stress!

Le bugie stressano, questa l’interessante conclusione di una ricerca dell’University of Notre Dame in Indiana (USA), interessante non tanto per il risultato (cosa che si sarebbe logicamente potuto dedurre), quanto per il fatto che sia stato condotto uno studio scientifico che ha permesso di confermare una credenza popolare.

Il più grande mentitore di tutti i tempi, quello che oggi potrebbe psicopatologicamente essere definito come “bugiardo patologico”, è Pinocchio e a lui le bugie facevano male e si vedeva. Ad ogni falsa verità infatti il suo naso si allungava. Nella realtà non ci sono modificazioni fisiche così evidenti o meglio ci sono, ma –come detto- non sono visibili ad occhio nudo. Nella concezione popolare si dice che le bugie abbiano “le gambe corte”, poiché l’abilità del bravo bugiardo non risiede tanto nella fantasiosa invenzione di versioni alternative della realtà, quanto nel tenere a mente cosa è stato detto e a chi. Le gambe corte delle menzogne sono proprio queste: l’alto rischio di tradirsi, di dimenticare la “balla” inventata e, quindi, di venire scoperti.

La tensione che si esperisce nel momento in cui si sostituisce la realtà con un racconto causerebbe infatti stress, una sorta di disagio dato dalla ricerca di conferme nello sguardo e nel comportamento dell’altro che possa confermare la plausibilità della bugia: il rischio insomma di non essere creduti. Se la menzogna risulta credibile si ottiene un piccolo anche se parziale successo, poiché la nostra mente sarà costretta ad affiancare –accanto ad un ricordo originale e vero, ciò che realmente è accaduto- un ricordo posticcio, che proviene dal nulla e che non ha –spesso- una sua logica esigenza di esistere. Lo stress in questo caso diviene una costante ed è indissolubilmente legato (almeno fino a quando la bugia non verrà scoperta) a queste due realtà (quella vera e quella creata ad hoc). Immaginiamo la situazione del ragazzino che ha preso un brutto voto all’interrogazione di storia e, tornato a casa, viene interpellato dalla madre, la quale gli chiede come sia andata l’interrogazione. Il ragazzino sa che l’interrogazione è andata male, ma non volendo essere rimproverato per il scarso impegno messo nello studio, afferma di essersela cavata bene. Nel momento in cui afferma questo egli crea una seconda realtà, parallela a quella “vera” ed in netto contrasto con essa; ed entrambe queste due versioni devono coesistere in lui. Ciò è per lui fonte di stess, poiché dovrà sempre tenere a mente che nelle occasioni che gli capiteranno, l’interrogazione è andata bene (anche se ciò non è vero). Nel parlare con la madre del suo compagno di classe, quindi, dovrà mantenere la versione “più accettabile” (ossia quella del positivo esito dell’interrogazione), per non incorrere nel rischio che la bugia possa essere scoperta se le due madri venissero in contatto.

Un primo aspetto disfunzionale delle bugie, quindi, è lo stress collegato a ricordare le versioni posticce raccontate. Ciò che afferma lo studio, poi, è che tale stato costante di stress si è dimostrato responsabile di una maggiore predisposizione per lo sviluppo di alcune patologie. Dagli studi condotti, infatti, le persone meno sincere sono risultate più facilmente inclini a sviluppare patologie come il mal di testa, la gola infiammata, il sentirsi depressi, oltre che a risultare maggiormente in tensione e –ovviamente- stressati. Gli stessi studiosi hanno inoltre dimostrato come la riduzione delle bugie, possa portare ad un miglioramento delle condizioni psicofisiche dei soggetti, tanto da ridurre gli episodi di tensione, ma anche di mal di testa e di mal di gola.

Benché sia impossibile essere sempre sinceri (e avendo qualche remora che ciò possa essere in grado di garantirci la salute), le bugie fanno effettivamente male e possono complicare notevolmente la nostra vita. L’aspetto positivo è che il processo è reversibile: riducendo le bugie la nostra salute migliora.

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