Gli estroversi sono più felici degli introversi. Forse.

Gli estroversi sono più felici degli introversi, questo perché – nell’immaginario comune – le persone introverse sono chiuse in loro stesse, non hanno grandi contatti con il mondo esterno e, per questi motivi, sarebbero decisamente più tristi (o meno felici) degli estroversi. Questi ultimi, infatti, costantemente orientati alla socialità (e alla socializzazione) risultano facilmente immaginabili come persone sorridenti e spensierate, ossia felici. Ma è veramente così?

La questione primaria è “cos’è la felicità?”. Domanda la cui risposta richiederebbe una lunga trattazione, spaziando dalla filosofia alla medicina, alla neuropsicologia. E un’analisi così approfondita potrebbe risultare decisamente noiosa e, secondariamente, porterebbe ad uscire dal seminato.

In sintesi si può dire che molta ricerca scientifica si è focalizzata sullo stabilire cosa siano le emozioni e da dove esse abbiano origine. Uno dei principali metodi di ricerca scientifica è stato ed è tutt’ora la misurazione dell’attività cerebrale. Si pensi ad una serie di elettrodi posizionati sulla testa di un soggetto che osserva ad esempio uno schermo su cui vengono proiettati una serie di stimoli visivi. Alcuni di questi stimoli possono essere piacevoli, altri invece meno. L’associazione tra lo stimolo (e la sua valenza piacevole/ spiacevole) e la risposta cerebrale misurata dagli elettrodi, permette di identificare le aree dove il piacere viene processato, oltre ad una serie di altri parametri.

Ora, tali studi scientifici hanno evidenziato come in alcune tipologie di persone –gli estroversi- le aree “della ricompensa”, ossia quelle aree che vengono attivate maggiormente quando un soggetto viene “premiato” dalla visione di uno stimolo piacevole (e che quindi favoriscono la messa in atto di comportamenti che potrebbero portare al ripresentarsi di tale stimolo), sono maggiormente responsive.

Ciò significa quindi che gli estroversi sono maggiormente inclini a provare felicità?

Probabilmente no, poiché la felicità è un costrutto particolarmente articolato. Quanto sopra esposto –infatti- non può in alcun modo essere ritenuto una definizione esaustiva della felicità, le diverse sfaccettature sono pressoché infinite e, probabilmente, esiste una ulteriore variabilità a livello individuale che complica ulteriormente una definizione assoluta e globale di questo costrutto.

Con tutta probabilità estroversi ed introversi sono entrambi in grado di provare felicità, tuttavia in maniere potenzialmente differenti. Ad esempio una persona estroversa potrebbe trarre piacere dal contatto sociale, dalla presenza di altre persone. Analogamente anche la persona introversa è in grado di trarre piacere dagli scambi sociali, tuttavia per periodo decisamente più brevi. È infatti da sfatare l’erronea convinzione secondo la quale le persone introverse non amerebbero le situazioni relazionali: il loro in molti casi è primariamente un timore degli altri, ma non il desiderio di evitare contatti.

Nell’esempio di cui sopra, quindi, entrambe le posizioni sono in grado di provare felicità in una medesima situazione, solo con modalità e tempi diversi.

Agli occhi di una persona estroversa, un introverso appare triste.

Il termine centrale di questa affermazione è “appare”, è infatti una questione di apparenza e non di realtà. Esistono molte persone introverse che, ad esempio, amano un tipo di musica altrettanto introversa, tendenzialmente malinconica. Nel momento in cui ascoltano tale musica e sono immerse in questa melanconia, però, provano immenso piacere. Tale piacere –ovviamente- potrà non essere condiviso da una persona invece estroversa ma, ancora una volta, non è possibile affermare che gli introversi non siano in grado di essere felici o che siano meno felici degli estroversi.

Oltre alle diverse tipologie di felicità che possono essere esperite/ vissute, è importante non dimenticare che anche le differenti modalità esistenti di manifestazione di felicità. Anche in questo caso è facilmente immaginabile che una persona più espansiva tenderà a manifestare in maniera più vistosa la propria gioia, mentre una posizione introversa sarà più riservata e contenuta. In entrambi i casi la felicità è esperita, solo la sua esternazione sarà diversa. E ancora non dimentichiamoci che anche la manifestazione potrà essere “valutata” in maniera diversa a seconda di chi ne sarà spettatore: uno spettatore estroverso che assiste alla manifestazione di gioia di un introverso, potrà percepirla in maniera molto flebile, viceversa un introverso attribuirà una valenza esagerata all’esultanza di un estroverso felice.

Di qui si comprende come la questione esposta nel titolo sia notevolmente complessa e non facilmente riducibile ad un’affermazione. Come sempre estroverso e introverso non sono due oggetti, ma comunque sempre persone e, quindi, complicate: nel senso di “costituite da una pressoché infinita molteplicità di caratteristiche: personalità, educazione, aspetti genetici, esperienze di vita, traumi, ecc.