Genitori che amano…troppo.
Il mondo è un posto talvolta realmente pericoloso e questo i genitori lo sanno bene, lo hanno sempre saputo fin dalla notte dei tempi. Il problema è che –come dice il detto- “il troppo stroppia”, ossia talvolta l’esagerazione -anche se rivolta ad un’azione positiva come la protezione della prole- può risultare anche eccessiva. È veramente così?
Qualche tempo fa si è parlato ampiamente dei giovani italiani che tendono a rimanersene a casa con mamma e papà, fino ad età adulta inoltrata, definendoli “i bamboccioni”. Dietro questa definizione non era probabilmente calcolato uno degli aspetti forse principali che ostacolano l’uscita di casa dei giovani d’oggi, ossia l’aspetto economico.
Comunque sia, non essendo l’ambito economico di nostro interesse, è indubbio il fatto che una fetta di giovani “bamboccioni” rimanga a casa per una serie di agevolazioni date principalmente dalla devozione dei genitori italiani nei confronti dei propri figli.
In molti casi si sente parlare di “troppo amore”, ma in cosa consiste e come questo può ripercuotersi sui figli, al di là (della banalità) del “divenire bamboccione”?
Genitori iperprotettivi – spesso constraddistinti da una forte componente ansiosa – non solo trasmettono le proprie ansie ai figli, ma insegnano loro che il mondo in cui viviamo è parecchio pericoloso. Cure eccessive, protezionismo esasperato e “eccessivo amore” portano i giovani a divenire –con una maggiore probabilità- adulti non preparati alle reali difficoltà della vita. Un’eccessiva protezione dalle insidie della vita reale, il cosiddetto “crescere sotto una campana di vetro” fornisce ai bambini (futuri adulti) una visione distorta del mondo reale: non avendo mai percepito la presenza di reali difficoltà, delle cosiddette “frustrazioni”, una volta cresciuti ed entrati in contatto con il mondo reale, quello all’esterno del controllo genitoriali, i giovani adulti “crollano”, perendo psicologicamente sotto il peso di una realtà sconosciuta e difficile da metabolizzare.
Il risultato –fortunatamente per certi aspetti- è che buona parte di questi giovani (che sarebbe preferibile definire come “impreparati”, piuttosto che “bamboccioni”) si rivolge a qualche specialista, lamentando depressione, ansia, senso di vuoto; spesso ma non sempre- la terapia permette al giovane adulto di riadattarsi al mondo.
Nella realtà clinica, infatti, per intenderci ciò che avviene presso lo studio dello specialista psicologo o psicoterapeuta, sempre più spesso si assiste ad uno strano fenomeno. I giovani raccontano sempre meno di famiglie punitive, di genitori negligenti o abusanti (non nel senso sessuale del termine), lasciando invece il posto a descrizioni di genitori amorevoli, iperprotettivi a cui vogliono decisamente bene, ma che assumono più il ruolo di “amico” piuttosto che di figura genitoriale.
Erano e sono “genitori troppo buoni”, che non hanno dato la possibilità ai propri figli di sperimentare la naturale frustrazione. Per dirla con Winnicott, sono genitori che non sono stati “suffcientemente buoni”, ma –potremmo dire- “eccessivamente buoni”. Un genitore sufficientemente buono è un genitore che è in grado di trasmettere al figlio –fin dalla più tenera età- la realtà della vita, costituita dall’inevitabile presenza di frustrazioni. Non sempre le cose vanno come vorremmo noi, non sempre si può ottenere una gratificazione, non sempre le difficoltà non incrociano il nostro cammino. E questo il genitore “sufficientemente buono” (Winnicott fa specifico riferimento alla “madre sufficientemente buona”) lo sa.
Il genitore “eccessivamente buono”, invece, pur in buona fede, ossia credendo di dare o fare di più per il proprio figlio, funge da filtro della realtà, depauperandola delle insidie, delle difficoltà e delle problematiche, restituendo al figlio un mondo incantato, totalmente positivo, assolutamente irreale.
Tutto funziona apparentemente bene fino a quando il giovane decide di non vivere più nel mondo filtrato, ma di andarlo a conoscere di persona. Qui si imbatte nell’imbroglio (benché fosse stato fatto in buona fede), conosce le difficoltà ma non riesce ad affrontarle. Soffre, si dispera e non trova una via d’uscita.
Uno degli aspetti positivi o meglio funzionali per questi giovani figli di genitori “eccessivamente buoni” è l’essere stati abituati ad avere un aiuto, a concepire la richiesta d’aiuto come un qualcosa di lecito e per nulla svilente. Forse grazie a questo insegnamento è per loro possibile rivolgersi ad uno specialista e rimettere a posto le cose. Forse.