Adolescenza e droghe: fumare cannabis riduce l’intelligenza. E non solo.

A lungo si è dibattuto sulla necessità di una classificazione appropriata delle sostanze stupefacenti, distinguendo cioè tra quelle droghe che potrebbero essere più dannose (le cosiddette “droghe pesanti”) e quelle invece più innocue o “leggere”. La pesantezza della sostanza dipenderebbe dalle differenze negli effetti, nel loro perdurare, dalla loro origine (naturale/ chimicamente modificata/ esclusivamente sintetica), e dalla dipendenza che potrebbero scatenare. Un recente studio dimostra come anche la cannabis, ritenuta una “droga leggera” possa apportare modificazioni importanti a carico del nostro cervello.

Chi la vorrebbe legalizzare, chi la demonizza e la pone sullo stesso piano di cocaina ed eroina, la cannabis è nell’attualità a tutti gli effetti una droga o, per utilizzare la terminologia più appropriata, una sostanza psicotropa. Trattasi infatti di sostanza non presente all’interno del nostro corpo che viene assunta, e i cui effetti sono costituiti da modificazioni comportamentali (in primis un generale rilassamento, ma tale effetto è molto suscettibile dell’umore e dello stato in cui il soggetto che l’assume si trova).

Di origine assolutamente naturale la cannabis viene mischiata al tabacco ed arrotolata in sigarette che vengono fumate; più comunemente viene definita come “canna” ed il suo uso è ampiamente diffuso sia negli adolescenti, sia nelle persone adulte. Gli effetti nocivi di tale sostanza sono stati ampiamente discussi e le posizioni sono spesso in netto contrasto: chi sostiene che sia a tutti gli effetti una “droga” (essendo anche illegale), chi invece ritiene che sia una sostanza naturale da non demonizzare, poiché ampiamente utilizzata in passato (e ancora nel presente) in diverse tribù.

Per rispondere alla questione relativa agli effetti potenzialmente dannosi a carico della cannabis, un recente studio condotto dai ricercatori dell’Università di Durham nel North Carolina (USA) ha reclutato mille neozelandesi, classe 1972-1973 seguiti dall’infanzia fino ai 38 anni di età, realizzando quindi uno studio longitudinale di estrema importanza per il mondo scientifico. Dei soggetti presenti nel campione il 5% faceva uso regolare di marijuana prima dei 18 anni, mentre altri hanno iniziato dopo i 20 anni. Al fine di ottenere risultati significativi, sono state somministrate alcune prove e i soggetti sono stati sottoposti a diverse indagini nell’arco della durata dello studio.

Dai risultati si evince come un consumo iniziato dopo i 18 anni, non sia in grado di portare a modificazioni significative. Diversa invece la questione se l’utilizzo (soprattutto se massiccio) ha inizio prima della maggiore età. In tali casi lo studio evidenzia un calo significativo del punteggio di QI (il quoziente intellettivo) fino a meno otto punti, oltre ad una marcata riduzione delle capacità di concentrazione dei giovani, effetti questi che i ragazzi e ragazze porteranno con sé fino nell’età adulta.

La sostanziale differenza che un assunzione di tale sostanza (come anche di tante altre) a seconda dell’età di assunzione risiede nella maturazione neuronale. Il corpo umano e il suo sistema nervoso centrale (il cervello) raggiunge la sua completa maturazione intorno ai 18 anni di età. Pertanto un’assunzione precoce –e ovviamente massiccia- mina o compromette una completa maturazione, tanto da portare ad una diminuzione delle prestazioni dei soggetti, in termini di riduzione di  QI e di concentrazione. Tali effetti invece non si osservano (o quantomeno la loro incidenza è relativamente poco significativa) negli adulti, ossia in quelle persone che hanno portato a compimento il loro processo maturativo.

Tutto ciò ricorda quanto affermavano i nonni prima e i genitori poi nel momento in cui vedevano il figlio ancora adolescente bere o fumare sigarette: “Non fumare e non bere, altrimenti rimarrai piccolo”. Alla fine un fondo di verità nei detti popolari c’è sempre.