E se poi non ci riesco? (Disturbi Specifici dell’Apprendimento – DSA)

DSA – Disturbi Specifici dell’Apprendimento e bassa autostima: un connubio inevitabile?

“Mattia entra a casa, è lunedì e la scuola è appena ricominciata. Mi guarda e con la faccia della disperazione mi dice: oggi sono pieno di compiti! Italiano, matematica, geografia, inglese… dentro di me penso a come faremo a fare tutto. Nel mentre cerco di rassicurarlo. Prendo il diario e guardo per capire da dove iniziare… il suo diario è rovinato, tutto distrutto, colorato e pieno di scritte. Incomprensibile. Allora lo guardo e gli chiedo quali sono le pagine di Italiano da studiare, quali gli esercizi di matematica da fare … lui mi guarda e urlando mi risponde semplicemente: non lo so! Non sono riuscito a scrivere tutto!”Cerco di mettermi in contatto con altri genitori, chiamo i suoi compagni di classe mentre Mattia è perso. Sembra non interessargli niente”.

Quanti genitori si trovano in situazioni del genere? Quante volte bambini con una diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) vivono e percepiscono la scuola solo come una difficoltà, vivendo con la sensazione costante di non essere mai all’altezza?

Ma ci siamo mai chiesti come faremmo noi se fossimo al loro posto?

Le difficoltà scolastiche portano a continui fallimenti, continue sensazioni di inefficacia e di inadeguatezza che mettono poi nella condizione di cercare “un colpevole” tra tutti gli autori coinvolti nel processo di apprendimento. Dal bambino che non si impegna abbastanza, alla madre che non lo segue, al padre troppo esigente o ancora alle insegnanti che non lo capiscono.

Proviamo ancora ad immaginare come possa stare un bambino che si trova costretto a confrontarsi quotidianamente con le sue difficoltà, senza spesso la comprensione di nessuno. Sembra normale come poi questo bambino, finirà col manifestare in diversi modi il suo stato di malessere. Dalla somatizzazione attraverso sintomi fisici (vomito, mal di testa, mal di pancia) all’opposizione aggressiva fino al cercare di scomparire il più possibile all’interno del gruppo classe.

La diagnosi di DSA diventa strumento quindi, fondamentale, per consentire al bambino di non essere colpevolizzato per le sue difficoltà. È uno strumento che consente di trovare un terreno comune nel quale muoversi, il bambino con le sue specifiche peculiarità viene messo al centro del processo di apprendimento che vede così coinvolti, in egual misura: famiglia e scuola. Si va così, infatti, a stabilire un fattore di organicità alle difficoltà manifestate, facendo venire meno la responsabilità diretta del bambino o dei suoi caregiver (figure che ruotano attorno alla sua formazione).

Oltre alla diagnosi di DSA però cosa posso fare io come genitore, come insegnante, per far sì che questo bambino sia messo nelle condizioni ottimali per apprendere e sentirsi efficace? Per stimolarlo e impedire che il non credere in se stesso prenda il sopravvento?

  1. PROPORRE SFIDE OTTIMALI (Cornoldi e Zaccaria, 2011), adeguate alle loro specifiche capacità e creare una relazione ottimale tra successo e impegno e non solo tra successo e voto.
  2. RINFORZARE POSITIVAMENTE E VALORIZZARLI, farli sentire competenti e responsabili del loro successo. Metterli nella condizione di sperimentarsi, di sbagliare e di potersi correggere.
  3. CREARE UN CLIMA DI COLLABORAZIONE TRA SCUOLA E FAMIGLIA E TRA GLI ALUNNI IN CLASSE.
  4. DARE FIDUCIA
  5. FAR DARE VOCE ALLE EMOZIONI VISSUTE AFFINCHE’ NON RESTINO BLOCCATE
  6. METTERLI NELLA CONDIZIONE DI SENTIRSI DI POTER AVERE IL CONTROLLO DELLA LORO SITUAZIONE, attraverso strumenti compensativi e/o supporti specifici

“Mattia oggi è tornato a casa soddisfatto del risultato ottenuto. Mi guarda con gli occhi che sorridono ed esclama: ho preso 8 in italiano e poi la maestra di matematica mi ha chiesto se potevo fare un power point riassuntivo della lezione dato che lei non era così brava!”