Associazione tra stress psicologico e mortalità.

In un recente articolo (link) si è voluta investigare se effettivamente –come spesso si legge- lo stress psicologico sia in grado di uccidere, ovvero se esista una reale connessione tra lo stress a livello psicologico e una maggiore probabilità di decesso.

Ben sappiamo quanti disturbi e quante malattie abbiano una notevole componente psicologica, pensiamo ad esempio all’ansia. Fatto questo che ha da sempre portato noi psicologi (e nei tempi più recenti anche diversi medici) a valorizzare l’importanza di un supporto psicologico da affiancarsi alla terapia farmacologica nella cura di una  moltitudine sempre maggiore di patologie (dalla depressione ai tumori). In letteratura le affermazioni inerenti la presenza di una reale (e soprattutto quantificabile) connessione tra disagio/ stress psicologico e mortalità spesso si declina in maniere diverse: è diffusa infatti la convinzione (supportata da elementi scientifici, ovviamente) che ansia, depressione e disagio sociale siano in grado di incidere profondamente sui decessi per patologie cardiovascolari e tumorali. Ciò principalmente perché lo stress psicologico influirebbe negativamente sul sistema immunitario e sulle varie difese (anche psicologiche) di cui l’organismo dispone, favorendo quindi gli “attacchi” esterni e, in ultima analisi, anche la morte. Quindi il detto “lasciarsi morire” avrebbe una qualche validità scientifica. 

Ciò che quindi ha cercato di fare il summenzionato studio è stato verificare (e quantificare qualora presente) il collegamento esistente tra livelli subclinici (ossia al di sotto delle soglie che determinerebbero una psicopatologia) di stress/ disagio psicologico e specifiche cause di mortalità. Come a dire: esiste nelle persone comuni (per non dire “normali”) una relazione tra il tasso di stress psicologico e il rischio di mortalità? Per fare ciò gli autori hanno “reclutato” più di 60.000 partecipanti (meta-analisi di 10 studi prospettici) dai 35 anni in su, esenti da patologie cardiache o cardiovascolari e tumorali, cui è stato somministrato uno strumento in grado di misurarne il livello di stress psicologico. I soggetti sono quindi stati seguiti per un lasso di tempo di circa 8 anni. Ciò che gli autori hanno osservato è stato che i soggetti che ottenevano un punteggio maggiore allo strumento per la misurazione dello stress psicologico, generalmente avevano un maggiore rischio di morte, oltre ad essere lievemente più giovani e con una minore pressione sistolica, rispetto a chi aveva invece totalizzato punteggi minori. I dati ottenuti suggeriscono che un punteggio elevato allo strumento utilizzato (quindi un maggiore disagio/ stress psicologico) porti ad un incremento del 21% di una qualsiasi causa di mortalità. Di queste il 22% riguarda il rischio di morte per patologie cardiovascolari, il 9% per un tumore, il 26% per cause “esterne”, ossia incidenti o similari. 

La conclusione dello studio in parole semplici? Lo stress/ disagio psicologico è associato ad un incremento del rischio di mortalità, anche quando tale disagio/ stress è ridotto o lieve, ossia non in grado di raggiungere la cosiddetta “rilevanza clinica” tale da portare la persona a rivolgersi ad uno specialista. Ciò significa che anche un disagio lieve, se non opportunamente ed efficacemente “contrastato” è in grado di ripercuotersi negativamente sul nostro stato globale di salute, ivi compreso l’incremento dei fattori di rischio di morte.

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