Psicofarmaci (8) – Conclusioni.
Il compito principale delle discipline scientifiche che si occupano di malessere psicologico è sviluppare il miglior trattamento possibile, in modo da favorire buoni risultati sul lungo termine: in questo senso la prima responsabilità della psichiatria è creare una modello di cura basato sull’evidenza scientifica dell’efficacia degli psicofarmaci, soprattutto a lungo termine. Ovvero, l’obiettivo della disciplina psichiatrica dovrebbe essere l’impostazione di protocolli terapeutici fondati scientificamente con lo scopo fondamentale di ottenere effettivi miglioramenti clinici nel tempo.
Una pratica psichiatrica basata esclusivamente sull’uso di farmaci non è altro che la conseguenza della tendenza da parte del modello biomedico ad ignorare gli aspetti psicodinamici del malessere psicologico: ovvero, l’affermazione del modello biomedico nella concezione culturale e sanitaria occidentale trascura il fondamentale ruolo dei processi e dei vissuti psicologici nella manifestazione della sofferenza psicologica, nonché l’importanza della relazione interpersonale come fattore terapeutico (in effetti lo stesso effetto placebo dimostra l’influenza del rapporto interpersonale nei processi di cura). Questa situazione è probabilmente dovuta all’effetto combinato di vari fattori, tra cui l’orientamento biomedico della formazione universitaria, il bombardamento mediatico dell’industria farmaceutica, i vantaggi finanziari legati all’aumento del fatturato, la pressione degli informatori farmaceutici sui medici perché prescrivano i farmaci, e la tendenza delle persone che soffrono a cercare una soluzione rapida e indolore ai loro disagi.
La letteratura scientifica non ha mai accertato che la maggior parte dei cosiddetti disturbi mentali siano dovuti esclusivamente a specifiche cause genetiche o biologiche, né che soddisfino i criteri anatomo-patologici, microbiologici e biochimici che caratterizzano le entità cliniche delle altre specializzazioni mediche; né tantomeno esistono esami obiettivi diagnostici o test scientifici di laboratorio che permettano di confermare la presenza del cosiddetto disturbo mentale. Inoltre, nessuna evidenza scientifica ha dimostrato che gli psicofarmaci producano a lungo termine modificazioni che consentano di risolvere definitivamente le espressioni di sofferenza psicologica; né la ricerca ha mai confermato il legame causale e diretto tra specifici tassi dei livelli di neurotrasmettitori e lo sviluppo di malessere psicologico.
La letteratura clinica evidenzia che i disturbi mentali non sono dovuti a squilibri chimici nei sistemi dei neurotrasmettitori, né di conseguenza che gli psicofarmaci sistemino questo squilibrio chimico. Ciò che è scientificamente certo è che gli psicofarmaci hanno un efficacia comprovata nel contenere, alleviare e gestire alcuni vissuti di sofferenza psicologica nel breve termine, in quanto molte forme di malessere psicologico costituiscono l’espressione clinica multifattoriale di una combinazione di fattori genetici, biologici, ambientali e psicologici: per questa ragione una molecola psicotropa può agire sul substrato biochimico e neurofisiologico del sintomo, anche se i meccanismi d’azione degli psicofarmaci sono ancora in parte sconosciuti.
Di conseguenza, gli psicofarmaci possono essere utili in situazioni di emergenza e di gestione delle manifestazioni acute di sofferenza psicologica: possono contribuire a contenere temporaneamente un grave disagio, costituendo un rimedio provvisorio allo scopo di fornire un supporto urgente ad un momento di crisi o ad una fase particolarmente difficile del vissuto personale. Tuttavia gli psicofarmaci non curano il malessere psicologico, ovvero non agiscono sui fattori che l’hanno provocato e che contribuiscono a mantenerlo. Chi assume psicofarmaci dovrebbe essere consapevole della sua effettiva efficacia clinica, dei suoi effetti collaterali, del rischio di dipendenza e dei possibili effetti iatrogeni connessi al suo utilizzo. Di fronte alla considerazione di tutti i possibili effetti negativi comprovati di uno psicofarmaco, spesso si argomenta che costituiscono l’unica modalità di gestire determinate forme di disagio psicologico: gli svantaggi sono realistici, tuttavia l’utilizzo di un farmaco permette di gestire espressioni di sofferenza gravi e profonde, che possono addirittura mettere a rischio la vita di coloro che la stanno vivendo, o quantomeno comprometterne la qualità in modo pericoloso e invalidante. Queste obiezioni sono effettivamente molto reali: spesso è necessario valutare il rapporto fra rischi e benefici, in base ad una serie di criteri che abbiamo esposto. I rischi di effetti collaterali, iatrogeni, di dipendenza e di cronicizzazione a lungo termine connessi all’assunzione di psicofarmaci vanno ponderati rispetto al vantaggio di contenere una situazione di intenso e doloroso disagio, con la consapevolezza tuttavia della necessità di intraprendere appena possibile percorsi terapeutici che garantiscano maggiore efficacia e stabilità a lungo termine.
Spesso invece il trattamento farmacologico rappresenta l’unica scelta terapeutica, per una serie di ragioni che abbiamo enunciato, accompagnata dalla rinuncia ad altri tipi di intervento psicosociali: nella pratica clinica così si assiste a trattamenti farmacologici che durano anni senza guarigione, terapie di “mantenimento” dopo episodi acuti, dipendenze con sintomi di astinenza, somministrazione multipla di più molecole per compensare gli effetti collaterali combinati le une delle altre, cronicizzazione e peggioramento della sofferenza psicologica, compromissione di alcune funzioni mentali.
A fronte dell’effettiva efficacia di molte molecole nel gestire l’intensità, la durata e la frequenza di molti vissuti di malessere psicologico, è indispensabile che si sviluppi una prospettiva terapeutica che contempli un utilizzo selettivo e oculato della psicofarmacologia, che favorisca buoni esiti a lungo termine.
Gli psicofarmaci devono essere prescritti esclusivamente da Medici Psichiatri con specifiche competenze, con i quali informarsi e discutere di qualsiasi dubbio o preoccupazione relativo alla molecola prescritta; gli psicofarmaci vanno utilizzati in presenza di una precisa indicazione clinica, per il minor tempo possibile e alla dose minima efficace, considerando sempre gli eventuali effetti collaterali. qualsiasi effetto indesiderato va prontamente comunicato allo Psichiatra responsabile del trattamento psicofarmacologico, così come qualsiasi decisione circa la sospensione della terapia.
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