Psicoterapia: come nasce?
Secondo appuntamento con gli articoli della serie “Psicoterapia e Fondamenti Scientifici”, a cura del dott. Villa.
(Leggi qui il precendente articolo)A dispetto della legislazione italiana, le figure dello psicologo e dello psicoterapeuta sono tuttora contraddistinte da una certa confusione nel modo in cui le persone si rappresentano queste professioni. In Italia molte persone identificano le figure di psicologo e psicoterapeuta con quelle dello psichiatra, del medico, del neurologo, del counselor, del coach, dell’educatore, dell’assistente sociale con o senza ulteriore specializzazione, senza contare la sovrapposizione di denominazioni come quelle di psicologo clinico o psicoanalista. Tale confusione è dovuta al contesto storico, sociale, politico ed economico in cui si è sviluppata la psicoterapia nella nostra nazione.
Da sempre la storia della psicoterapia si intreccia con quella della medicina e quindi della psichiatria, discipline che a loro volte si erano in origine evolute dal pensiero religioso e filosofico: la “cura” del malessere psicologico è stata per secoli trascurata e sottovalutata, inoltre storicamente è sempre stata appannaggio della medicina. La psicologia scientifica, che si basa sullo studio della mente secondo criteri di sperimentazione e di quantificazione tipici del metodo scientifico, nacque in Europa tra il 1850 e il 1870, e determinò la separazione della psicologia dalla filosofia e il suo debutto come disciplina scientifica e sperimentale (Freedheim, 1992): tuttavia essa da principio si disinteressò totalmente della psicoterapia, concentrandosi esclusivamente sulla verifica sperimentale del rapporto tra stimolo fisico e impressione psichica. Solo in seguito la psicologia scientifica, strettamente connessa alla medicina neurofisiologica, sviluppò una branca clinica: la psicologia clinica comprende infatti l’insieme degli interventi psicologici rispetto a disturbi e sofferenze psichiche, relazionali e psicosociali. In effetti la psicologia scientifica iniziò prima ad interessarsi alla misurazione di processi psicologici elementari e circoscritti (psicometria differenziale: Donders, Fechner, Weber, Wundt, Brentano, Ebbinghaus, Galton, Cattell), ed in seguito alle differenze individuali e alla creazione di test per diagnosticare difficoltà psicologiche (Binet, Henri) e per risolverle (Witmer).
L’altra radice della psicologia clinica affonda le sue origini alla fine del Settecento, quando si parla di trattamento morale (Esquirol, Pinel, Chiarugi), approccio pedagogico fondato sul rifiuto almeno parziale di metodi coercitivi e sull’importanza dell’influenza psicologica nel trattamento delle malattie mentali; in seguito le teorie di Mesmer, Braid, Charcot e Janet sull’ipnotismo e sugli stati alterati di coscienza aprirono la possibilità di studiare la suggestionabilità e quindi gli aspetti inconsci del funzionamento mentale implicati nel malessere psicologico. Diversi medici e psichiatri si interessarono al funzionamento e alla patologia mentale (Ribot, Dumas, Liebault, Bernheim, Bleuer) elaborando diverse teorie sulla malattia mentale, fino al contributo di Freud, che propose un modello psicodinamico della personalità e interventi terapeutici di natura esclusivamente psicologica (Lombardo, Foschi, 1996). Infatti l’avvento della psicoanalisi a cavallo tra Ottocento e Novecento segnò una svolta cruciale nella storia della psicoterapia, che a partire dal metodo e dalla teoria psicoanalitica si sviluppò e si diramò in molteplici approcci e orientamenti, inaugurando una concezione innovativa del malessere psicologico e del modo di prendersene cura.
In quest’ottica la psicoterapia si definì appunto come l’applicazione clinica delle psicologia, ma anche della scienza medica; dall’inizio del Novecento cominciarono a svilupparsi diverse teorie sul funzionamento psicologico “normale” (psicologie), a cui corrispondevano diverse teorie sul funzionamento psicologico “malato” (psicopatologie), e quindi diverse teorie sulla cura di questo funzionamento “malato” (modelli psicoterapeutici). Il modello clinico psicologico si sviluppò secondo criteri diversi dal modello biomedico, anche se nasceva all’interno della tradizione medica e ne utilizzava termini e concetti di base: la psicologia clinica era nata come branca della psicologia, che a sua volta si era sviluppata a partire dalla scienza medica e fisica da una parte e dal pensiero filosofico dall’altra. La psicoterapia è solo uno dell’insieme degli interventi nell’ambito della psicologia clinica, che a partire dagli anni 40 venne formalizzata come disciplina scientifica specifica deputata ad interventi diagnostici e terapeutici, appunto. In ogni caso, dall’inizio del secolo la storia della psicoterapia ha sempre risentito dell’influenza della disciplina medica su quella psicologica, a livello storico, economico, sociale, clinico e di ricerca.
In Italia, nella prima metà del Novecento lo sviluppo della psicologia fu ostacolato da una serie di complessi fattori ideologici, politici, religiosi e filosofici (fascismo, idealismo, cultura cattolica, modello biomedico; Adami Rook, Ciofi, Giannini, 1997). La psicologia infatti per molti anni rappresentò un insegnamento delle facoltà di medicina o di filosofia, senza una propria facoltà autonoma. I primi corsi di laurea in psicologia vennero istituiti soltanto nel 1972; tuttavia si riscontrò da subito una mancanza di chiarezza da un punto di vista formativo, dal momento che i docenti dei primi corsi di laurea in psicologia in Italia erano soprattutto psicoanalisti, il che portò la maggior parte degli iscritti a psicologia ad interessarsi alla psicoterapia (di orientamento psicoanalitico), che all’epoca era l’unico sbocco professionale della professione psicologica in Italia. Ciò provocò la proliferazione di numerose scuole private per la formazione in psicoterapia, strettamente legate al proprio modello teorico di riferimento e sorte lontano dall’ambiente istituzionale pubblico dell’Università di Psicologia, che invece all’epoca si occupava soprattutto di ricerca sulla psicofisiologia, sulle orme della vecchia psicologia scientifica (Fusaro, 1998). Si creò quindi una spaccatura polemica fra le scuole private, che volevano difendere l’ortodossia dei propri orientamenti teorici, e l’Università pubblica, che forniva un insegnamento accademico poco spendibile sul mercato del lavoro. Senza una legislazione precisa, l’attività di tutte queste scuole non fu regolamentata, il che portò molte di esse ad ammettere studenti non laureati, che praticavano illegalmente la psicoterapia.
Nel 1989 vennero emanati l’ordinamento della professione di psicologo e la regolamentazione dell’esercizio della psicoterapia, al fine di regolamentare e statalizzare la professione, il che spiega perché in effetti la legge del 1989 è un raro esempio di normativa che prevede un titolo, quello di psicoterapeuta, che può essere fornito da scuole di specializzazione non pubbliche. Infatti da quel momento in poi la psicoterapia rappresentò una funzione professionale specifica accessibile soltanto a psicologi e a medici per il cui addestramento era necessaria un’adeguata preparazione (Fusaro, 1998). Lo stato affidò quindi tale addestramento al doppio canale pubblico e privato, ovvero alle scuole di specializzazione pubbliche universitarie e agli istituti privati che possiedono specifici requisiti di idoneità certificati ufficialmente (commissione tecnico consultiva del Ministero della Istruzione, Università e Ricerca), basati su criteri specifici di qualità della formazione e della produzione scientifica. Anche se le scuole private furono costrette ad adeguarsi alla legislazione, rinunciando al loro status di unici gestori della formazione in psicoterapia, esse costituiscono ancora oggi la grande maggioranza delle scuole di specializzazione in Italia: contribuiscono quindi a garantire, rientrando nei limiti imposti dalla legge, quei criteri qualitativi e di formazione che oggi permettono di distinguere l’intervento psicoterapeutico da molti altri presunti interventi per il benessere psicologico, purtroppo molto spesso approssimativi, superficiali e scarsamente efficaci.
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