Come superare il senso di vuoto con la Mindfulness

“Chi ha un perché per vivere, può sopportare quasi qualsiasi come”

Nietzsche

Il senso di vuoto

Una delle esperienze trasversali e comuni a più condizioni esistenziali o anche a patologie, è quella del senso di vuoto. Ad ognuno di noi è capitato o capiterà di venire a contatto in alcuni momenti della nostra vita con una sensazione di vuoto, una mancanza di senso.

A testimonianza di questo vi è un fatto ineccepibile: l’esperienza di vuoto non è stato oggetto di studio esclusivo della psicologia, bensì diverse categorie di studiosi, tra cui filosofi e teologi che si sono interessati a questo fenomeno dell’esperienza umana.

Oggigiorno sembra essere un marker generazionale, sempre di più i giovani percepiscono una mancanza di senso e vengono a contatto con sensazioni legate al vuoto o alla noia. Alcuni eventi della vita, come la fine di una relazione, la perdita del lavoro, ci mettono spesso a contatto con questo tipo di sensazioni. La sofferenza, tuttavia, emerge quando queste sensazioni si protraggono nel corso del tempo, diventano così croniche. Quando le persone hanno finalmente il tempo di fare ciò che vogliono, non sembrano voler fare qualcosa in concreto; ad esempio: le persone che vanno in pensione e che entrano in crisi, gli studenti che si ubriacano ogni fine settimana e altri che si immergono in un intrattenimento passivo ogni sera. In riferimento a questo, alcuni autori utilizzano il termine “Nevrosi della domenica” definendola come “quel tipo di depressione che affligge coloro che vengono a conoscenza della mancanza di contenuti della propria vita, quando gli impegni della settimana sono finiti e il vuoto dentro di loro si manifesta.

Consolidato il fatto che sembra essere un’esperienza molto comune e molto diffusa nella nostra società, è anche una sintomatologia legata a diverse patologie, in particolare ai disturbi di personalità.

Come può la Mindfulness aiutarci a fronteggiare e superare il senso di vuoto?

Partiamo da una domanda molto semplice: quando ci fa male la schiena o abbiamo mal di testa, cosa ci fa realmente affliggere? Una prima risposta, molto automatica, potrebbe essere che a farci angustiare è la percezione sensoriale del dolore, ovvero il nostro sistema nervoso ci ricorda che abbiamo preso una botta alla schiena, che abbiamo una carie ai denti oppure che abbiamo la cervicale. Se provassimo per un attimo a ingrandire la fotografia di questa situazione, forse ci renderemmo conto che in realtà quello che realmente ci impedisce di vivere con maggiore serenità queste situazioni non è la percezione del dolore, ma la propria reattività emotiva verso questa percezione, come se fossimo avversi al dolore. Alla base di questo c’è un concetto molto semplice: non stiamo accettando una sensazione del nostro corpo che seppur dolorosa, è reale. Dietro ci sono le nostre aspettative che ci dicono che non dovremmo avere la febbre, che non dovremmo avere mal di testa ma che dovremmo sempre stare bene. Se provassimo, invece, a vivere queste esperienze con un atteggiamento non giudicante nei confronti delle sensazioni di dolore e di osservazione curiosa, senza reagire con impazienza o intolleranza, allora avremmo sicuramente anche una riduzione della quota di sofferenza, perché cambieremmo il nostro modo di pensare la “percezione del dolore”. Cambieremmo una nostra risposta automatica costruita su aspettative implicite “Il dolore non deve far parte della mia esperienza e deve cessare il prima possibile”.

Ma quindi cosa c’entra questo esempio con il senso di vuoto?

L’esempio dell’atteggiamento che tendiamo ad avere nei confronti del dolore fisico può essere traslato anche rispetto alle sensazioni di vuoto. Tendiamo a non ascoltarle, vorremo subito farle sparire, cerchiamo di distrarci, di riempirci di nuove cose, postiamo una foto su un social network, iniziamo una nuova serie tv, compriamo un nuovo vestito. Così facendo però stiamo solo evitando una sensazione che non accettiamo ma che giudichiamo implicitamente con una valenza negativa, come un qualcosa che non dovrebbe esserci. E allora si che ne soffriamo, è una conseguenza inevitabile a questo punto.

Ora in modo sintetico, vengono riportati alcuni concetti derivati dalla Mindfulness che risultano essere efficaci nel costruire un atteggiamento diverso nei confronti dell’esperienza del senso di vuoto.

  • L’accettazione compie un ruolo essenziale nel metterci in contatto con l’esperienza di vuoto perché ci consente di avvicinarci in un contesto di apertura e di disponibilità psicologica verso fonti di stimolazione avversiva che fino a quel momento provocavano in noi solamente comportamenti di fuga, rifiuto, rimuginio o evitamento. Accettare non significa gradire ciò che accettiamo, ma in uno stato di accettazione possiamo renderci conto che alcuni aspetti dell’esperienza non possono essere cambiati, mentre alcuni elementi sono passibili di un cambiamento. Potremo così dirigere le nostre forze verso quest’ultimi.
  • Lasciar andare è una capacità direttamente connessa con l’accettazione. Ci permette di concedere la stessa attenzione a tutti gli stimoli, indipendentemente dal nostro bisogno di trattenere o allontanare questi aspetti dell’esperienza di vuoto che causano sofferenza, oppure che ci “intrappolano” in uno stato mentale
  • Mancanza di sforzo è l’atteggiamento che si persegue anche nella pratica meditativa. Non c’è niente che debba o che non debba essere raggiunto. L’unica cosa da fare è rimanere sulla nostra “mattonella” ed osservare. Non bisogna pretendere di voler modificare la propria esperienza di vuoto, il cambiamento se avverrà, sarà paradossalmente proprio il risultato di non averlo cercato.
  • Identificare i segnali precoci del vuoto. Un altro importante fattore d’efficacia dell’impiego della Mindfulness sull’esperienza di vuoto potrebbe essere l’aiuto prezioso dato dal poter identificare in anticipo quelle sensazioni, pensieri o situazioni che portano a sperimentare il senso di vuoto. La Mindfulness permette di cogliere alla nascita questa sorta di segnali, diversi secondo l’esperienza del paziente, aiutando a identificare il momento idoneo per utilizzare strategie di fronteggiamento adeguate e a non rimanere “intrappolati” nel vuoto dovendo fare ricorso a modalità di tipo disfunzionale.

Nel prossimo articolo, riporteremo alcuni esercizi utilizzabili proprio nel fronteggiare questo tipo di esperienza.

Indicazioni Bibliografiche:

  • Baer, R. A. (2003). Mindfulness training as a clinical intervention: a conceptual and empirial review. Clinical Psychology: Science and Practice.
  • Didonna, F. (2008). Clinical Handbook of Mindfulness. Springer,New York.
  • Frankl, V.E. (1973). The Doctor and the Soul: From Psychotherapy to Logotherapy. Washington Square Press, New York.
  • Kabat-Zinn, J. (1990). Full Catastrophe living: using the wisdom of your body and mind to face stress, pain, and illness. Delaceorte, New York. Trad. it. (2002). Vivere momento per momento. Corbaccio, Milano.