Lo shopping compulsivo.
Ossia: Quando la passione per lo shopping diventa patologia.
Per ciascuno di noi, gli abiti rappresentano molto di più che la semplice risposta al freddo o alle scottature del sole, così come il cibo rappresenta qualcosa di più della semplice risposta alla fame. Sono soprattutto un modo attraverso cui esprimiamo noi stessi e ci presentiamo agli altri. Rappresentano l’insieme di molti significati personali, sociali e culturali (Pani, Biolcati, 2006). Le modificazione dell’abbigliamento hanno trasformato “una necessità nell’espressione di un’arte” (Golden, 2000). La moda è in costante e repentino cambiamento, ma abiti e accessori rappresentano una costante psicologica stabile è relativamente indipendente dallo stile.
Laver, (1969) ha proposto tre funzioni principali attribuite ai vestiti: utilità pratica, potere e seduzione. Scegliamo, più o meno consapevolmente, quello che indossiamo per rendere la vita confortevole, per affermare la nostra individualità, per attrarre sessualmente.
Scarpe, borse e accessori coniugano simultaneamente il piacere del conformismo e al tempo stesso il piacere dell’affermazione delle scelte personali, della propria unicità. Lo shopping quindi può essere considerato a tutti gli effetti un’esperienza emotiva.
Ma quando lo shopping non è più un semplice piacere e diviene il segno di un malessere psicologico? Cosa si intende quando si parla di shopping compulsivo?
“Oniomania”, la mania del comprare, dal greco oniomai, è il primo termine utilizzato per descrivere ciò che oggi chiamiamo shopping compulsivo, un fenomeno che solo negli ultimi decenni è stato preso in considerazione da indagini specifiche della letteratura psicologica e psichiatrica e da indagini di mercato sul comportamento dei consumatori. Lo shopping compulsivo va considerato una dipendenza legata aì cambiamenti culturali ed economici degli ultimi anni .
Oggi è più semplice, rispetto al passato, spendere denaro che non si possiede. La carta di credito sembra offrire una spinta aggiuntiva a spendere e consumare, contribuendo all’illusione di un credito sempre disponibile, che consente l’ utilizzo immediato. I beni acquistati, oltre al ruolo pratico, sempre più di frequente possono ricoprire funzioni simboliche: un significato emozionale che fornisce un mezzo di identificazione , di espressione di sé e al contempo un ruolo sociale, comunicando agli altri chi si è o chi si vorrebbe essere. Chi diviene dipendente dallo shopping inizialmente non riesce a vedere il comportamento come problematico, considerandolo un sollievo immediato dallo stress e una fonte di gratificazione personale. Proprio questa illusoria ricompensa iniziale rinforza il comportamento, determinando poi processi compulsivi e ripetitivi. Quando il comportamento diviene più frequente, sentimenti di grandiosità possono portare l’individuo a immaginarsi immune dagli effetti negativi della propria attività compulsiva. La perdita di controllo, derivante dalla spinta a comprare più di quanto sia necessario o ci si possa permettere, è spesso seguita da depressione, vergogna e senso di colpa. Talvolta si arriva ad evitare totalmente il confronto con gli altri , ad isolarsi nel proprio mondo immaginario.
Chi sono i soggetti più a rischio?
Si tende a considerare lo shopping compulsivo come una tipica problematica femminile e si ritiene che i consumatori compulsivi siano spesso più giovani rispetta alla media dei consumatori. In effetti, lo shopping compulsivo sembra meglio rispondere esigenze del sesso femminile dal momento che a causa dello specifico ruolo sociale le donne tendono a sviluppare stili di coping talvolta più passivi e legati all’ emotività, rispetto agli uomini.
Fare shopping è socialmente accettabile, desiderabile e la famiglia appare spesso orgogliosa dei membri che comprano con successo. Inoltre questa attività, seppur compulsiva, non cambia visibilmente la personalità dell’individuo, come accade nel caso di altri disturbi o nell’utilizzo di droghe, quindi può rimanere celata fino a che non determina conseguenze negative palesemente manifeste.
Lo shopping quindi diviene espressione di un ruolo squisitamente femminile e per questo più facilmente giustificabile. Ma recentemente questa problematica sembra coinvolgere anche una certa nicchia di uomini. Si tratta di ragazzi giovani, istruiti e con discrete possibilità economiche. Spesso sono professionisti che si mostrano interessati alla moda, alla cura di sé e la cui identificazione con il ruolo maschile risulta sicuramente meno tradizionale (Dittmar, 2003). Lo shopping compulsivo rimane tuttavia, soprattutto in Italia, un disturbo più rappresentato dalla popolazione femminile. L’età media di insorgenza è stimata intorno ai 17/18 anni , ma la presa di coscienza del problema generalmente sopraggiunge circa un decennio dopo l’esordio.
Come aiutare chi soffre di questo disturbo?
Innanzitutto è fondamentale la presa di consapevolezza del problema, senza nascondersi rispetto agli aspetti ludici e desiderabili del comprare. Importante poi la comprensione di quanto questi comportamenti compulsivi parlino di una problematicità che va oltre la concretezza dei gesti, che dice di un bisogno emotivo e affettivo, di un bisogno di maggior valorizzazione del proprio valore, indipendente da ciò che si possiede.
A cura della dott.ssa Maria Monica Ratti
Bibliografia
- Dittmarr H., A new look at Compulsive Buying: self-discrepanciesand materialistic values as predictor of excessive buying behaviuor, 2003
- Golden E., Clothes, inside-out, I shop therefore I am: Compulsive Buying and the Search for Self, Lahnam,2006
- Laver J., Modesty in dress, Houghoton Mifflin, 1969
- Pani R., Biolcati R., Le dipendenze senza droghe, Utet Università, 2006