Depressione: farmaci sì o farmaci no?
In una vera e propria “Babele” dei trattamenti per la forma più diffusa in Italia di “Disturbo Mentale” gli psicofarmaci vengono spesso definiti come un secondo nemico.
In Italia circa 4 milioni di persone è in cura per depressione. Per la maggior parte dei casi si tratta di donne. Ma come si curano queste persone?
I dati sopra riportati si riferiscono alle cure “tradizionali”, ossia tramite la somministrazione di farmaci (psicofarmaci) coadiuvati –non sempre- da una terapia psicologica di tipo supportivo. Resta tuttavia pressoché fumoso il dato relativo a trattamenti cosiddetti “alternativi” a quella che ormai a tutti gli effetti può essere definita come la “patologia del secolo”.
Ebbene: farmaci sì o farmaci no?
Senza alcun dubbio i farmaci costituiscono la scelta principale, primaria, per il trattamento della depressione. Nonostante le innumerevoli parole che vengono spese relativamente a questa patologia, è necessario ribadire che il suo meccanismo fondamentale consta nel malfunzionamento dell’assorbimento di alcune sostanze all’interno della nostra mente. Pertanto l’origine della depressione è in primis definibile come condizione medica e –conseguentemente- come tale è d’obbligo che venga trattata. Troppa disinformazione regna in merito alla depressione, troppe sono le persone –figure più o meno autorevoli- che a tutt’oggi ritengono che tale patologia sia il risultato della mancanza di volontà, della tristezza, della svogliatezza: la depressione è una patologia e come tale va curata.
La terapia farmacologia (per un maggiore approfondimento si veda questo articolo) è pertanto il trattamento di elezione e consiste nella prescrizione –da parte di un medico- di molecole (leggi farmaci) che riportino l’organismo ad essere in grado di assorbire le sostanze di cui sopra. Il meccanismo è analogo al trattamento del diabete, la cui caratteristica è una disfunzione relativa alla produzione di insulina, che viene curata somministrando tale sostanza al paziente.
L’efficacia degli psicofarmaci è comprovata da numerosi test scientifici ed esami di laboratorio, nonché approvata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, come d’obbligo per qualsiasi trattamento farmacologico in senso stretto.
I trattamenti “alternativi” (e qui rientrano un numero indefinito di terapie validate e non) non sono invece sempre soggetti a tale rigidità protocollare e –in alcuni casi- fondano le proprie proprietà curative, sul cosiddetto effetto placebo. È indubbio che tali trattamenti non siano da demonizzare (come non dovrebbe essere il caso degli psicofarmaci), poiché tali approcci possono costituire –soprattutto in alcuni casi specifici- una validissima integrazione del trattamento elettivo (leggi farmacologico). L’aggiunta di una terapia “alternativa” –se controllata e concordata con il proprio medico- può essere di aiuto, può –in taluni casi- fungere da potenziatore dell’effetto farmacologico. Ciò è il caso, ad esempio, della “Light Therapy” – ossia “terapia della luce”; trattasi di una terapia non farmacologia che prevede l’esposizione del paziente ad una luce simile ai raggi ultravioletti di una lampada abbronzante. Studi scientifici hanno dimostrato che questo tipo di trattamento è in grado di potenziare gli effetti del farmaco antidepressivo, agendo sul ritmo sonno-veglia del paziente.
Come in ogni caso, quindi, gli estremi sono sempre sbagliati: errata è la convinzione relativa alla sostituibilità del trattamento farmacologico, tanto quanto incorretta è la demonizzazione in toto delle terapie “alternative”. Certamente l’approccio farmacologico è, come detto, il primo indispensabile passo da compiere verso il trattamento efficace di un disturbo dell’umore (come la depressione), trattamento cui può essere efficacemente affiancato –se ritenuto utile dal medico o dallo psichiatra curante- un intervento di “altro” tipo.
Per completezza di informazione è importante sottolineare come, nella maggior parte dei disturbi mentali, la presenza di un supporto psicologico o psicoterapico in associazione al trattamento farmacologico, sia risultato essere il trattamento “integrato” con la maggiore efficacia.
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